In uno dei momenti più difficili della sua storia, l’Unione Europea si è stretta attorno al ricordo della figura di Helmut Kohl, cancelliere tedesco dal 1982 al 1998 e padre della riunificazione tedesca. Sono i primi funerali di Stato celebrati dall’Unione e vi hanno partecipato i leader politici di tutto il mondo. Quasi un rito collettivo per difendere la memoria storica e politica di uno dei fondatori del progetto europeo, che ci ha resi più forti e più determinati nel difendere la pace mondiale.
A maggior ragione, quindi, sembra di vivere una specie di déjà vu nell’assistere alla passerella di ex leader, ex sindaci ed ex segretari di Partito, che hanno animato la manifestazione politica nostrana di Piazza Santi Apostoli per la nascita di “Insieme”, il nuovo contenitore 2.0 della sinistra italiana. Dopo l’Ulivo e l’Unione, D’Alema, Bersani, Fassina, Civati, Tabacci, Bonelli e tanti altri protagonisti degli ultimi venti anni della politica italiana si sono ritrovati a Roma, insieme all’ex Sindaco di Milano Giuliano Pisapia, per lanciare una proposta politica unitaria. Chiariamo subito: è un bene che lo facciano, poiché chiunque si candidi per sconfiggere le destre e il populismo diventa automaticamente un alleato naturale del Partito Democratico. Tuttavia sarebbe importante che il nuovo soggetto politico-elettorale concentrasse le proprie attenzioni nel contrasto di quelle forze che vogliono l’uscita dell’Italia dall’Europa, piuttosto che sull’azione del governo di Paolo Gentiloni che dovrebbero sostenere. In sostanza un soggetto politico alla sinistra del Partito Democratico è molto utile, se si prefigge di recuperare il consenso di quei cittadini che hanno scelto di disertare le urne e non si ritrovano nella politica riformatrice di Matteo Renzi, mentre rischia di diventare residuale, qualora si intestardisse nella preservazione criogenetica di un ceto politico, che ha ampiamente dimostrato la propria incapacità a governare il Paese negli ultimi venti anni.
I leader del vecchio centrosinistra hanno sempre pensato che per vincere bastasse fare la somma di un’accozzaglia di partiti dello zero virgola. In realtà si vince con un programma riformista post ideologico, che sappia parlare di lavoro senza mettere uno contro l’altro imprenditori e lavoratori. Si vince declinando le parole “libertà”, “giustizia” e “sinistra” in un’accezione concreta e non soltanto ideale. La libertà di competere in ogni campo è ormai un valore assoluto, che deve trovare il suo giusto limite nel rispetto delle regole e delle leggi. Quando la giustizia non funziona, l’economia entra in crisi e le persone perdono gradualmente diritti che sembravano acquisiti. Compito della sinistra deve essere quello di tenere in equilibrio le braccia della bilancia. La libertà senza giustizia sociale diventa anarchia. I troppi lacci statali, di contro, rappresentano un freno per la concorrenza e gli investimenti e di conseguenza mettono in crisi il mondo del lavoro. Essere di sinistra oggi, vuol dire avere il coraggio di realizzare quelle riforme che attendiamo da decenni e che sono state sempre rimandate per meri calcoli elettorali. Per questa ragione, nessuno può arrogarsi il diritto di detenere il monopolio sul significato di parole così importanti per il nostro futuro. Non basta certo sventolare una bandiera rossa o intonare “bella ciao” per essere di sinistra ed agire da riformisti. Soprattutto se a farlo sono gli stessi che in questi anni hanno usato il potere per creare consenso personale, senza risolvere i problemi degli italiani.
Nei prossimi mesi comincerà una campagna elettorale che si preannuncia particolarmente accesa, soprattutto se ci sarà un sistema elettorale proporzionale e quindi un iniziale tutti contro tutti. Da una parte si fronteggerà una nuova generazione di riformisti: quella del Partito Democratico di Matteo Renzi, Matteo Orfini e Maurizio Martina. Dall’altra ritroveremo il vecchio centrodestra di Silvio Berlusconi e il neo populismo grillino di Beppe Grillo. Due leader che non sono nemmeno candidabili a causa delle loro vicende giudiziarie, ma che nel nostro Paese continuano ad avere un seguito pericoloso. Questo perché l’Italia ha una profonda difficoltà a cambiare. Lo abbiamo dimostrato con il referendum del 4 dicembre scorso. Quella nottè non è stata semplicemente bocciata la linea politica di un leader, bensì l’ottavo tentativo di riforma costituzionale della storia repubblicana.
Concordo con quanto scritto da Tommaso Cerno sull’Espresso. Quella notte “decade qualcosa di molto più importante di un leader, decade la facoltà del Parlamento di auto-razionalizzarsi, come avvenuto in Francia, in Gran Bretagna e in Germania, nel nome di una propria storia e rispetto a una visione di futuro, condivisa almeno sul piano delle regole generali“. Tuttavia nel giorno che segna la più cocente sconfitta del governo Renzi e del Pd, accade qualcosa di imprevedibile. Agli attacchi che Matteo Renzi subisce, da avversari e presunti alleati, risponde in massa il popolo delle primarie, che a larghissima maggioranza lo sceglie nuovamente quale leader del Partito Democratico. Se ne avesse avuto l’occasione, quel popolo avrebbe fatto lo stesso anche per Walter Veltroni, defenestrato da leader del Pd con le stesse modalità e dagli stessi personaggi di oggi. Perché quel popolo, il popolo del Partito Democratico è da molto tempo più avanti del gruppo dirigente che lo guida.
Matteo Renzi ha replicato alle tante critiche che gli sono piovute addosso, confermando da Milano che ascolterà tutti, ma non si fermerà per nessuno. Ancora non basta secondo me. È necessario spalancare le porte del Pd, iniziando col rendere contendibili tutte le cariche. Si dia potere reale ai territori nella selezione delle classi politiche, dai candidati per il Parlamento fino ai consiglieri comunali e municipali. Un partito ha senso quando è in grado di includere e di concedere a tutti la possibilità di poter rappresentare, per una limitata stagione politica, tanti altri che condividono la medesima visione della società in cui vorremmo vivere. Possibilità per tutti, dunque, di poter rappresentare il proprio partito nelle istituzioni. Obbligo di consultazione dell’opinione degli iscritti, attraverso referendum sulle questioni più importanti e dibattute. Infine rispetto del vincolo di mandato. Non è più possibile vedere le stesse facce ricoprire per oltre vent’anni cariche elettive, a volte anche con scarsi risultati, mentre tantissimi altri sono impossibilitati persino a candidarsi. Da questi semplici principi passa la rivoluzione democratica. Potremmo dire dalla rottamazione alla rigenerazione.
A Roma il commissariamento si concluderà domenica 9 luglio con la convalida dell’elezione a segretario del Pd Roma di Andrea Casu. Insieme alla sua maggioranza, Andrea ha ottenuto il 54.54% dei consensi. Nelle prossime settimane conosceremo anche la sua squadra e finalmente si tornerà a discutere di politica in assemblea romana. In III municipio martedì 4 luglio si riunirà la nuova assemblea municipale che eleggerà segretaria Paola Ilari, la capolista della lista 1 che ha vinto nettamente il congresso con oltre il 60% dei voti degli iscritti. È stato un voto per il cambiamento del partito. In questi ultimi anni ci sono stati troppi errori politici nel nostro municipio, Paola avrà il compito di restituire credibilità al Pd locale e di costruire, assieme al gruppo municipale e alle coordinatrici dei circoli, l’opposizione al M5S.
A Roma la situazione degrada di giorno in giorno. I servizi continuano a peggiorare, mentre la Sindaca si è rinchiusa nel palazzo. Non parla con i romani, perché impegnata a discutere con i suoi avvocati della difesa processuale che l’attende. Caccia dalla propria maggioranza chi dissente dalle sue decisioni e si stupisce che nessuno voglia più fare l’assessore della sua sgangherata giunta. Rimane silente e inerme dinnanzi ai manifesti blasfemi che campeggiano sulle pensiline dell’Atac. Qualcuno mormora sia un sindaco commissariato, in realtà è una zombie che cammina, in attesa di una clemenza che tarda ad arrivare. La Casaleggio associati è già pronta a toglierle il simbolo se sarà condannata. Tuttavia a noi romani potrebbe toccare di sorbircela per altri 4 anni. Altro che oddio è lunedì, oddio che incubo.
p.s. sabato sera c’è stato il concerto evento di Vasco Rossi. Evitando di infierire sulla diretta Rai di Paolo Bonolis assolutamente non all’altezza dell’evento, guardando dall’alto la spianata del Modena Park, gremita da oltre 220 mila persone, mi sono venute in mente due riflessioni. La prima è che se 220 mila persone sono così tante, c’è sempre da credere alle cifre della questura e mai a quelle degli organizzatori di eventi e manifestazioni politiche. Da oggi in poi sono convinto che non sentiremo più parlare di un milione di persone in piazza. Sarebbe troppo facile sbugiardare il malcapitato, semplicemente confrontando le foto del concerto del Blasco con qualsiasi altra piazza nostrana. La seconda è che la musica muove più di qualsiasi altra causa. Anche nel recente passato è stato così. Tuttavia vale la pena ricordarselo, oggi che il terrorismo ci colpisce nelle nostre città anche durante i concerti. Non dobbiamo avere pausa ha detto Vasco. Ha ragione ed è anche per questo che sono a Milano e stasera vedrò il primo dei due concerti dei Coldplay a San Siro. Per poter urlare a squarciagola “Viva la Vida”.