Oddio è lunedì #64 – la sconfitta non è mai definitiva

Mi scuso per il ritardo con il quale invio il mio consueto articolo settimanale. La nottata elettorale di ieri e la difficile giornata di oggi sono state politicamente fra le peggiori di sempre. Non soltanto per la sconfitta netta, inequivocabile e dolorosa subita dal Partito Democratico, ma soprattutto per la presa di coscienza collettiva della volontà degli italiani, che liberamente hanno scelto di farsi rappresentare dal M5S di Luigi Di Maio e dalla Lega nord di Matteo Salvini. Le due formazioni politiche più simili a quelle anti europeiste in giro per l’Europa hanno raccolto assieme il 50% dei consensi. Per fortuna, molto probabilmente, non saranno voti e seggi sommabili per la formazione di un futuro governo, ma semplicemente perchè al leader della Lega conviene politicamente ereditare il centrodestra italiano, unico argine rimasto, soprattutto grazie ai voti di Forza Italia, per frenare l’avanzata grillina.

La Lega è senza ombra di dubbio la vera vincitrice di queste elezioni politiche. Prende tanti voti ovunque. A Roma sfonda nelle periferie e supera persino il partito di Giorgia Meloni. Salvini diventa il capo assoluto della coalizione di centrodestra, grazie ad un partito che non ha gruppi dirigenti o eletti in molte regioni d’Italia, ma che è stato capace di interpretare il pensiero delle masse. Prima gli italiani è stato lo slogan della campagna elettorale, con un esplicito richiamo a quell’America first, utilizzato negli Stati Uniti da Donald Trump. A nessuno interessa se poi ad affiggere i manifesti siano i ragazzi di colore. Lo slogan funziona e spesso in politica l’evocazione del messaggio conta più del contenuto.

Vincono anche i grillini, confermandosi quale prima forza di opposizione al sistema, da chiunque sia temporaneamente rappresentato. Il M5S vince due volte, per la verità, perchè si piazza al centro del sistema politico italiano e perchè, ancora una volta, potrà sfuggire le responsabilità di governo, nascondendosi dietro la scusa di non avere i numeri sufficienti per farlo. Potrà essere l’opposizione ad un governo di centrodestra, dopo esserlo stato di un governo di centrosinistra. La situazione ideale per continuare ad incrementare i propri consensi, cercando di arrivare ancora una volta “vergini” al prossimo giro elettorale.

La sofferenza per la sconfitta del Partito Democratico, di conseguenza, non si limita all’evidenza del fallimento di un progetto politico di governo, basato sul rispetto delle diversità, della tutela dei diritti e del tentativo di riformare un Paese gerontocratico e reso asfittico dalla corruzione e dalle clientele. Siamo giunti alla fine di un ciclo storico, quale è la fine dei partiti socialisti, incapaci di immaginare una società in grado di limitare il potere del capitalismo finanziario, producendo politiche concrete di redistribuzione della ricchezza. La crisi dei democratici italiani ricalca quanto già visto in Europa e negli Stati Uniti. Immaginare che le responsabilità di un’ondata globale di queste proporzioni possano ricadere soltanto su un leader non è soltanto inverosimile, ma persino disonesto intellettualmente. Matteo Renzi ha commesso errori, come ne hanno fatti coloro che lo hanno preceduto. Giusto, di conseguenza, assumersi le proprie responsabilità, dimettendosi da segretario del Partito Democratico. Soltanto chi non abbia conosciuto la sua storia politica, avrebbe potuto avere dubbi sulla sua decisione. Allo stesso modo bene ha fatto ad indicare la sacrosanta linea politica di non acconsentire ad accordi con nessuna delle forze, che per anni hanno insultato e denigrato i deputati, gli iscritti, i militanti e gli elettori democratici. Chi ha vinto le elezioni ha l’onere di governare, chi le ha perse il diritto di fare l’opposizione.

Nonostante la sconfitta sia stata estremamente enfatizzata dai mezzi d’informazione, giova ricordare come il Partito Democratico rimanga una forza politica vitale, che non è stata cancellata da queste elezioni. Al contrario la tornata elettorale ha dimostrato matematicamente, purtroppo, come nemmeno una presunta unità della sinistra avrebbe potuto nulla contro il vento a favore delle forze populiste e di centrodestra. Il Partito Democratico continuerà ad essere un partito radicale di massa, attento ai diritti e in sintonia con il ceto medio riflessivo e di elevata scolarizzazione. La questione più seria, invece, è l’ormai acclarata incapacità di parlare alla vasta platea di persone che soffrono la crisi economica e di lavoro, sentendosi penalizzate dalle decisioni della politica. Sempre più spesso ormai l’identità politica delle famiglie non è più guidata dalla volontà dei padri, ma dai problemi dei figli. Un giovane senza lavoro, quindi, diventa un moltiplicatore del malessere di una famiglia, così come la paura e l’insicurezza ingenerano il bisogno di sentirsi rappresentati da chi urla più forte, individuando facili soluzioni per problemi complessi.

Tuttavia è utile ricordarci come i cittadini abbiano sempre ragione, anche quando qualcuno di noi si azzardi a pensare il contrario. E’ la bellezza delle democrazia, che bisogna avere il coraggio di difendere sempre, soprattutto quando si perde. Il Partito Democratico rimarrà all’opposizione, come lo è già a Torino dove governa la grillina Appendino. Qui il Pd è tornato ad essere il primo partito. Così come nella Livorno del Sindaco Nogarin, dove i democratici hanno eletto il proprio candidato al collegio uninominale, con il M5s finito addirittura terzo. Ne è un esempio anche Roma, dove il Partito Democratico è cresciuto, arrivando in molti quartieri ad essere il primo partito e ad eleggere 4 deputati nei collegi.

La sconfitta porta con se qualcosa di positivo: non è mai definitiva. Soprattutto in ogni sconfitta ci sono i semi dai quali abbiamo il dovere di ripartire, soprattutto per il rispetto dei tanti cittadini che hanno avuto fiducia in noi. Nicola Zingaretti è stato eletto governatore della Regione Lazio per la seconda volta e alla Regione il Partito Democratico è il primo partito a Roma. Rispetto al 17,02 delle amministrative del 2016, siamo oggi ad una percentuale che supera il 22%, con un recupero di 5 punti percentuali e di oltre 100 mila voti assoluti alla Camera, che hanno contribuito alla vittoria della coalizione di centrosinistra nei collegi in cui erano candidati Paolo Gentiloni, Marianna Madia, Patrizia Prestipino, Riccardo Magi ed Emma Bonino. Un risultato decisivo ovviamente anche per la riconferma di Nicola Zingaretti. A Roma il Partito Democratico è ripartito grazie agli iscritti, ai volontari, ai segretari e agli eletti nei municipi, ad una squadra di donne e di uomini che hanno contribuito con impegno e abnegazione alla campagna elettorale. La battaglia tuttavia è soltanto all’inizio. Il centrodestra a trazione leghista è in ascesa, così come il M5S di Virginia Raggi è ancora molto forte. Sarà necessaria un’opposizione più dura ed efficace, capace al contempo di occuparsi meno dei problemi della Sindaca e molto di più di quelli dei cittadini. Sinceramente vorrei appassionarmi al tipo di città che vorremmo proporre ai romani, piuttosto che all’ennesimo congresso di partito. Questo chiedono i cittadini ad un partito politico. Questa potrebbe essere la risposta del nuovo Partito Democratico.

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