La retorica della responsabilità varia a seconda di chi la usi. Prendiamo ad esempio gli ultimi sette anni. Sono state invitate ad essere responsabili tutte le forze politiche moderate e fra queste, prima fra tutte, il Partito Democratico. Bisognava essere responsabili per non far fallire il Paese. Al contrario gli irresponsabili, in questi anni, se ne sono stati comodamente all’opposizione limitandosi alla critica distruttiva, senza discutere seriamente delle ragioni della crisi economica mondiale, affrontata maldestramente dalle politiche neo liberiste del centrodestra Berlusconiano. Lo hanno fatto recitando quotidianamente i propri mantra “irresponsabili”, contro quelli che con responsabilità cercavano di far uscire il Paese dalle sacche in cui era stato portato. Allo stesso modo erano irresponsabili, secondo la Sindaca grillina di Roma Virginia Raggi, quelli che un paio d’anni fa volevano le Olimpiadi nella capitale. Sono invece improvvisamente diventati responsabili Beppe Grillo e la Sindaca Chiara Appendino, per i quali adesso i giochi Olimpici a Torino sarebbero una grande opportunità. Evidentemente a Roma il problema non erano i corrotti, ma l’incapacità della Sindaca della Capitale. Dopo le elezioni del 4 marzo i responsabili sono nuovamente tornati di moda, con appelli di giornalisti, comici, personaggi dello spettacolo e politici, che ormai non fanno nemmeno più tanto ridere, per favorire un accordo politico fra il M5S e il Partito Democratico.
Negli ultimi sette anni per quelli che hanno vinto le ultime elezioni, il Partito Democratico è sempre stato responsabile. Di qualsiasi cosa, tanto da meritare attacchi ed insulti. Di conseguenza, adesso, è giusto che siano loro, i vincitori, a praticare l’arte della responsabilità per provare a governare il Paese, come hanno voluto gli italiani. M5S e Lega devono provare ad avere i voti su un governo che sia in grado di dare il reddito di cittadinanza a chi non ha un lavoro, abbassando al contempo le tasse, provvedendo ad annullare la legge sulle pensioni, passando per la cacciata degli immigrati e l’uscita dall’euro. Chi ha vinto le elezioni deve governare. Chi le ha perse ha il dovere morale di fare l’opposizione a chi propone un programma ridicolo, irrealizzabile e contrario agli interessi del Paese. Il Partito Democratico è stato responsabile per sette anni, adesso ha il diritto di poter osservare e giudicare le ricette politiche degli altri. Ha diritto ad un periodo di irresponsabilità. Non perchè questo rappresenti un atto di ignavia, ma semplicemente perchè così funziona la democrazia dell’alternanza, che serve proprio a smascherare la retorica degli opportunisti irresponsabili. Quelli che a Roma chiameremmo paraculi, perchè promettono in campagna elettorale tutto e il contrario di tutti, salvo poi trovare scuse per non risolvere i problemi di cui dicevano di avere le soluzioni.
In questo periodo al Partito Democratico spetta una traversata nel deserto, durante la quale interrogarsi su quanto è successo. Quanto accaduto nel nostro Paese non può essere banalizzato con la parabola di un leader politico sconfitto. A perdere non è stato soltanto un partito, un governo, una leadership o un gruppo dirigente relativamente giovane. Sono andate in minoranza le idee e i valori cardine dell’uguaglianza, della giustizia sociale, della solidarietà, della tolleranza, della laicità e dei diritti. La declinazione della moderna sinistra post capitalista ha dimostrato, in tutto il mondo in effetti, di essere arrivata al capolinea. Il problema non è stata l’offerta politica delle forze di centrosinistra, ma la domanda dei cittadini, che hanno preferito politiche di chiusura, di vecchio assistenzialismo meridionalista e di stratificazione sociale. Questo ovviamente non significa che non ci siano stati errori della leadership, ma semplicemente che la battaglia che ci aspetta prescinde dai destini dei singoli.
Davanti a noi si profila una sfida storica, contro la quale non basterà eleggere un nuovo leader, ma servirà l’impegno collettivo di un’intera generazione di combattenti, capaci di stare in opposizione a mani nude, sapendo costruire al contempo una nuova visione della società. Lo scrivo con una provocazione. Ho la sensazione che potrebbero essere molto più utili alla causa sociologi, statistici, economisti, giornalisti e filosofi, piuttosto che i campioni delle preferenze. Serve un nuovo orizzonte politico, perchè se appare incontrovertibile la crisi dei partiti socialisti, è altrettanto palpabile il desiderio profondo, vivo nella nostra società, di una spinta verso la giustizia sociale e il riequilibrio della bilancia fra forti e deboli. Il nostro errore principale è stato quello di consentire ad un sentimento così elevato di tramutarsi da speranza in rabbia. Una rabbia spesso irrisa, che non trovando la possibilità di trasformarsi in energia propulsiva e riformista con l’obiettivo di accorciare le distanze fra chi ha di più e chi si trova in difficoltà, è finita per sfociare nei rivoli della protesta. O ancora peggio in quelli della violenza, come accaduto anche questa settimana a Firenze con l’uccisione in strada di un senegalese, da parte di un pensionato italiano.
Le ragioni della sconfitta sono profonde e il Partito Democratico non può risolverle con le primarie immediate, che anzi probabilmente dividerebbero ulteriormente la comunità democratica, con il rischio di svilire uno strumento eccessivamente abusato. La sconfitta di un leadership, infatti, non necessariamente significa azzerare tutto quello che esiste in un partito del 20%. Sono convinto che la soluzione debba esser trovata con i membri dell’assemblea nazionale, eletti meno di un anno fa. Per ripartire, inoltre, serve spalancare le porte e le finestre del Partito Democratico a chi vuole dare una mano. Lo abbiamo fatto in queste ore a Roma, avviando l’apertura della campagna di tesseramento 2018. Lo stimolo è arrivato certamente dal bell’esempio dell’ex ministro Carlo Calenda, che tuttavia era già stato anticipato da centinaia di persone, che in questi giorni si sono presentate presso i nostri circoli e al Nazareno per iscriversi al Pd e dare una mano. Sono persone che non sono interessate a votare un nuovo leader, ma che vogliono continuare a tenere accesa la fiamma democratica. Sono loro il segnale più importante per il futuro.