Oddio è lunedì #88 – il Paese dove la legalità non è mai la regola

Dopo dieci giorni di sequestro si è finalmente conclusa l’odissea dei migranti della nave “Umberto Diciotti“, capitanata dall’ufficiale superiore della Guardia Costiera Massimo Korthmeir, uno dei protagonisti principali di questa triste vicenda. Qualora non aveste sentito nominare il comandante della Diciotti, la causa più probabile è da imputarsi al chiasso mediatico provocato dall’altro protagonista assoluto di questa soap opera d’agosto, il ministro dell’Interno Matteo Salvini, che ha voluto mostrare i muscoli all’Europa e al Paese, tenendo nelle proprie mani il destino di 177 profughi, fra i quali donne e bambini, salvati in mezzo al mare. Diciamolo subito: Korthmeir e Salvini sono entrambi colpevoli. Il primo per aver rispettato il diritto del mare, il codice della navigazione e ogni altra legge vigente. Korthmeir è reo di aver adempiuto al proprio dovere, un peccato capitale imperdonabile in un Paese dove la legalità non è mai la regola, ma un’ipocrisia spesso sbandierata per celare le proprie reali intenzioni. Ovviamente anche il leader della Lega Matteo Salvini è colpevole. Lo è moralmente, politicamente e probabilmente persino giuridicamente. Sulla questione morale c’è poco da aggiungere. Salvini afferma che tutti gli italiani sono con lui nel difendere i confini del Paese. La sua è una mezza verità, basata sull’assunto che la maggioranza delle persone con disagio socio economico vive al contempo con frustrazione la presenza degli stranieri, icone viventi di una globalizzazione che non funziona e genera troppe disuguaglianze. Solo una piccola minoranza di questi individui si dichiara apertamente razzista o ammette in cuor suo di esserlo. Gli altri sono talmente in difficoltà da aver bisogno di superficiali capri espiatori con i quali prendersela, nella speranza che il ritorno agli Stati e alle monete nazionali possa in qualche modo riportarci magicamente a quando economicamente stavamo meglio. Salvini usa la paura e la rabbia di queste persone per acquisire consenso personale, senza tuttavia risolvere i problemi per i quali è stato eletto. Infatti mentre si parla ogni giorno della presunta emergenza immigrazione, sono sparite dall’agenda politica e dal dibattito pubblico le questioni del lavoro, della riduzione delle tasse e del reddito di cittadinanza.

Per questa ragione la responsabilità morale chiama in causa direttamente quella politica. Sono piuttosto convinto, infatti, che Matteo Salvini e i suoi “bravi” collaboratori abbiano pretestuosamente costruito a tavolino la situazione di stallo della “Diciotti”, così da impegnare l’opionone pubblica e i mass media su un tema diverso da quello del crollo a Genova del ponte Morandi. La ragione è piuttosto intuitiva se proviamo a tornare con la memoria ad una decina di giorni fa, prima che telegiornali e giornali venissero monopolizzati dalle dirette social del Ministro, dalle passeggiate al porto di Catania, dall’inchiesta del procuratore di Agrigento e dal braccio di ferro con l’Unione Europea. Prima di tutto questo circo mediatico, stava emergendo come la società Autostrade avesse finanziato proprio la Lega di Salvini, una notizia vera che aveva generato fortissimo imbarazzo nel governo giallo-verde. Il filosofo americano Noam Chomsky ha chiamato questa manipolazione delle opinioni attraverso i mass media “strategia della distrazione“. Su larga scala la strategia consiste nel deviare l’attenzione del pubblico dai problemi importanti, attraverso la tecnica del diluvio o delle inondazioni di continue distrazioni e di informazioni insignificanti. Bisogna mantenere il pubblico, ovvero noi cittadini, occupati e con pochissimo tempo per pensare alle conseguenze di quello che accade. Parlare per dieci giorni di immigrazione e sbarchi, ad esempio, ha evitato che si potesse chiedere conto a Salvini e Di Maio delle rispettive promesse elettorali e dei finanziamenti ricevuti in campagna elettorale.

Parlare d’altro, inoltre, evita che si possano mettere in luce le rispettive incoerenze. C’era un tempo nel recente passato nel quale essere indagati era sempre e comunque una circostanza negativa per un politico, seppur nel rispetto del principio garantista per il quale un avviso di garanzia non è mai una condanna. Era il tempo in cui Luigi Di Maio intimava al ministro dell’Interno Angelino Alfano di dimettersi in cinque minuti perchè indagato per abuso d’ufficio. Erano soltanto due anni fa, prima che iniziasse il processo per falso alla Sindaca di Roma Virginia Raggi. Prima che il Ministro Salvini venisse indagato per sequestro di persona, arresto illegale e abuso d’ufficio. La nuova politica, di contro, sembra aver fatto diventare più cool la ricezione di un avviso di garanzia. Quelli che si autodefinivano onesti, sono costretti con sempre maggiore frequenza a rivolgersi al notaio per cambiare statuti e codici etici, per renderli compatibili con i reati di cui vengono accusati i propri amministratori. Tuttavia quando in politica si dice una cosa per prendere voti e poi per convenienza e opportunismo viene rimangiata, si è semplicemente dei cialtroni. Questo principio vale sempre e per tutti, sia per un ministro che per un giovane rappresentante degli studenti.

Nonostante queste evidenze, però, la popolarità di Salvini e del M5S rimane comunque molto elevata e non soltanto perchè ci troviamo nel periodo immediatamente successivo alla formazione del governo, un arco temporale non a caso definito “luna di miele“. Il problema più serio è la potente capacità di narrazione delle forze populiste. Non è passato, di conseguenza, il messaggio di chi si preoccupava per il pericoloso precedente di una limitazione della libertà personale in assenza di garanzie, date dal vaglio dell’autorità giudiziaria, bensì il processo sommario sapientamente orchestrato sui social. La ragione è piuttosto semplice. Lega e M5S sono più organizzati sui social, perchè investono molte risorse nella comunicazione. Proprio in questi giorni stiamo cominciando a comprendere il funzionamento dell’algoritmo leghista “La Bestia“. Le opinioni estremiste del leader leghista vengono condivise e rilanciate da chi le apprezza e da chi le contesta. Questo meccanismo perverso consente a Salvini di essere sulle bacheche social di mondi diversi, dai fascisti di Casapound ai gruppi dei centri sociali, passando per i volontari delle organizzazioni cattoliche e delle Ong. Per combattere questo strumento comunicativo esiste soltanto un modo: cambiare l’agenda politica del Paese, smettendola di inseguire Salvini sul suo campo e sfidandolo sui problemi concreti. In sostanza si deve essere originali e non giocare di rimessa. Attaccare e non soltanto limitarsi a rilanciare la palla nell’altro campo.

E’ molto più difficile, invece, contrastare la macchina da guerra del M5S. Per darvi un’idea a grandi linee di come funzioni lo strumento comunicativo della Casaleggio Associati, voglio raccontarvi l’esperienza che mi è capitata questa settimana, nel tentativo di commentare un post di Virginia Raggi sulla sua pagina ufficiale. In risposta al suo post entusiastico sul ritiro di un materasso abbandonato in mezzo alla strada, ho replicato alla Sindaca chiedendole di occupare meglio il proprio tempo, magari facendo funzionare la raccolta differenziata di Ama o lavorando per chiudere presto il Tmb del Salario. Le ho anche ricordato di provvedere al taglio dei rami pericolanti presso le scuole e di farsi vedere in X Municipio per sostenere il Sindaco di Fiumicino Esterino Montino nella riapertura del Ponte della Scafa. Insomma un piccolo promemoria per ricordarle che lei è la Sindaca di Roma e non un passante che denuncia i cittadini incivili.

Questo mio post ha scatenato un centinaio di commenti. I primi ad arrivare sono state una quindicina di persone che difendevano il buon governo dell’amministrazione Raggi. Peccato che il 75% di queste persone non abitassero a Roma. Pur essendo profili appartenenti a individui reali, questi erano residenti in altre città d’Italia. L’unico elemento in comune fra queste persone era il sostegno esplicito al M5S, facilmente riscontrabile osservando le loro bacheche. Alle mie prime risposte a questa prima ondata, ne è poi seguita una seconda, nella quale sono cominciati ad arrivare profili evidentemente finti, capaci di scrivere soltanto frasi contro il Pd e insulti personali. C’erano quelli “dell’allora il Pd?” e di “siete Mafia capitale“, oltre agli immancabili haters che ti insultano e ti augurano le cose peggiori.

Rispondere a quei profili è fin troppo semplice, quanto inutile. Sono profili evidentemente fittizzi, senza foto personali e informazioni private. Servono a fare massa contro le persone che hanno opinioni diverse, a scoraggiarle e magari anche a spaventarle. Alla fine, dopo più di tre ore di botta e risposta, sono arrivati due o tre individui, più capaci di entrare nel merito delle questioni. Non erano politici, sembravano più dei consulenti. Persone capaci di leggere e scrivere in italiano e di provare ad argomentare una posizione politica. In sostanza, tre ondate diverse, studiate per scoraggiare anche il più tenace degli oppositori politici. La schermaglia social ha fiaccato anche una persona come me, abituata al confronto/scontro politico. Cosa succede, invece, alle persone che in perfetta buona fede vogliono soltanto lasciare un commento critico, perchè magari sotto casa propria la spazzatura non viene ritirata? La sensazione è quella di essere lasciati soli a difendere la propria opinione, circondati da un gruppo di persone che mediaticamente ti picchiano e ti insultano, fino a farti desiderare che la conversazione si concluda il prima possibile. E’ quello che facevano le squadracce fasciste con chi si ribellava al pensiero unico. Siamo passati dallo squadrismo di strada a quello sui social.

Per combattere la deriva che stiamo vivendo serve un Partito Democratico forte e coeso. Sinceramente servirebbe anche che tutto quello che legittimamente voglia stare fuori dal Partito Democratico accetti di elaborare con i democratici un progetto politico condiviso. Invece in questi ultimi mesi, come ha giustamente scritto il giornalista Enrico Pazzi, sembra non esserci posto per chi ha perso. Come se non fossimo più in una democrazia, come se una legislatura non durasse cinque anni, ma l’eternità. Un pensiero davvero pericoloso, perchè solo le dittature e gli imperi hanno l’ambizione di essere millenari. Al contrario le democrazie vivono di alternanza, di maggioranza e minoranza. C’è chi governa e chi fa l’opposizione e piaccia o meno il Partito Democratico è la principale opposizione di questo Paese. Lo hanno deciso elettori che hanno lo stesso valore di quelli che hanno votato Lega, M5S o Forza Italia.

Il Pd è vivo per chi vuole vederlo e anche per chi ha la legittima aspirazione di cambiarlo per migliorarlo. Sui territori moltissimi militanti democratici sono l’unica alternativa alle forze populiste. Di certo non ci sono le folle dei fan adoranti e nemmeno quelli che vogliono i selfie in ogni luogo, ma è il prezzo che si paga quando si perdono le elezioni. Le presenze si diradano, diventa più difficile riuscire a farsi ascoltare, ci si ritrova a lottare a ranghi ridotti, perchè ci sono molte meno opportunità e molta più fatica. Questo vuol dire fare l’opposizione. A noi spetta la responsabilità di usare questo tempo per costruire una proposta politica per il futuro, capace di dare risposte ai bisogni reali delle persone. Ridurre le disuguaglianze, combattere il precariato, abbassare la tassazione e ricostruire un sistema di welfare moderno, capace di difendere i più deboli. Questo vuol dire rimanere dalla stessa parte, dimostrando alle persone di essere credibili e di poter rappresentare l’alternativa quando i populisti falliranno. Perchè l’unica certezza è che i democratici italiani saranno li, a raccogliere i cocci del disastro giallo-verde.

p.s. l’immagine di copertina dell’Oddio è lunedì di questa settimana è un’opera dell’artista Francesco Piobbichi, attivista No Border.

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