Venerdì 25 novembre si è celebrata la giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne. Fra le numerose iniziative di questi giorni, sabato ha partecipato insieme alla consigliera regionale Eleonora Mattia all’interessante convegno promosso dal Comune di Manziana sull’origine, il riconoscimento e il contrasto alla violenza di genere. Sulla questione ero anche già intervenuto giovedì sera alla trasmissione La Voce di Roma su Gold Tv (clicca qui).
La battaglia contro la violenza di genere passa attraverso la lotta agli stereotipi, alla necessità di mettere in discussione la cultura patriarcale che li ha generati e all’urgenza di rompere le categorizzazioni e gli schemi predefiniti che guidano i nostri comportamenti secondo le aspettative degli altri. Proprio venerdì sera mi è capitato di assistere a teatro alla tragedia di Eschilo “Agamennone”. Un testo antico che tuttavia è uno specchio che ci rimanda la nostra immagine attuale. In breve Agamennone potente e tracotante re dei Greci torna dopo dieci anni a casa da trionfatore dopo aver espugnato Troia. I falsi onori che gli attribuisce la moglie Clitennestra servono soltanto a condurlo alla morte per mano sua e del suo amante. Un omicidio compiuto per vendetta. Clitennestra infatti riconosce ad Agamennone una colpa tremenda: aver ucciso la figlia Ifigenia, chiamata ad Aulide con un pretesto e lì sacrificata sull’altare di Artemide, precedentemente offesa dal re, in modo che la flotta greca potesse salpare tranquilla alla volta di Troia. La trilogia di Eschilo inizia quindi con un femminicidio e si conclude con un femminicidio, poiché Oreste, figlio di Agamennone e Clitennestra, tornerà ad uccidere la madre e il suo amante per vendicare il padre. Quella che appare come una tragedia familiare imperniata sulla vendetta, in verità ci mostra il ruolo della donna per gli antichi. Paragonata spesso ad una cosa e ad un oggetto. Privata degli aggettivi di forza e coraggio attribuiti agli uomini e tacciata anche in un caso di rivalsa come questo quale essere ambigua e spietata, calcolatrice e falsa, lasciva e funesta. L’assassinio del marito viene descritto come un crimine commesso contro un grande eroe. Tutto il contrario di quanto avviene per il figlio Oreste, giunto quasi alla follia per aver ucciso la madre, e giudicato comunque non colpevole dal tribunale di Atene, al cui giudizio decide di sottoporsi su consiglio patriarcale del Dio Apollo.
In sintesi Agamennone e Oreste possono uccidere una donna senza meritare la morte da parte della cultura classica. Perché dunque è importante la trilogia di Eschilo? Perché pur segnando il passaggio da una giustizia tribale e familiare fatta di sangue e stragi ad una di Stato fatta di tribunali e divinità cittadine, mantiene ferma un’unica costante, ovvero la differenza di trattamento fra uomo e donna.
Questo è solo un esempio di come gli stereotipi siano arrivati attraverso la cultura fino ai giorni nostri, dove fatichiamo a riconoscerli e a distaccarcene. Basti pensare che il reato di adulterio è stato abrogato nel 1968, mentre quello del delitto d’onore soltanto nel 1981. La parola femminicidio è stata osteggiata per moltissimi anni ed è entrata a far parte del vocabolario della lingua italiana soltanto nel 2009. D’altronde il reato di femminicidio è stato introdotto nel nostro codice penale nel 2013 e soltanto nel 2019 sono state inasprite maggiormente le pene per chi si macchia dei reati di violenza domestica e di genere. Quando si parla dei ritardi nella battaglia per l’eliminazione delle violenza contro le donne, lo Stato e la politica hanno avuto grandi responsabilità. Anzi la politica fatta per troppo tempo da soli uomini è stata complice di quegli uomini che maltrattano e uccidono le donne.
Per questa ragione non è sufficiente partecipare a dibattiti e convegni. Non basta dire alla nostra coscienza che il 25 novembre deve essere ogni giorno. È non è nemmeno sufficiente per noi uomini essere degli uomini perbene che rispettano le donne (e ci mancherebbe). Noi tutti siamo figli e figlie di uomini e donne che hanno replicato stereotipi, modelli e categorizzazione di genere. Spetta di conseguenza a noi il compito di contribuire a rompere questi schemi, per disintegrare la sovrastruttura che ci circonda e continua a nutrirli. Nell’educazione dei nostri figli, nei comportamenti sociali e familiari e nell’azione politica e civile, sostenendo le donne, gli uomini e i partiti che avranno il coraggio di proporre e portare avanti azione concrete che ribaltino la cultura di cui siamo impregnati. Ognuno di noi è chiamato a fare la propria parte ogni giorno per combattere gli stereotipi di genere e contribuire alla crescita culturale del nostro popolo.