Oggi scriverò di calcio, anche se in realtà si tratta dell’egemonia di un capitalismo egoista e sfrenato, che cerca un modo di limitare la concorrenza, sfuggire alle regole e dividere avidamente fra pochi i profitti. La questione della Superlega chiusa del calcio europeo, riservata a 15 club fissi e gli altri cooptati di volta in volta, cancella la qualificazione alle coppe europee sul campo e di conseguenza il principio di merito sportivo, quale requisito di partecipazione per tutti. Per capirci, non potranno più esserci miracoli sportivi come quello del Leicester campione d’Inghilterra in Premier League o dell’Atalanta, qualificatasi per due volte in Champions League a scapito di squadre ben più blasonate. È un vulnus inaccettabile, che mina i valori dello sport e sovverte i principi del sistema economico. I club fondatori, in Italia sono Juventus, Milan e Inter, hanno compiuto questa scelta esclusivamente per una ragione economica, per spartirsi fra pochissimi i profitti derivanti dal calcio, senza volerli più dividere con le squadre minori, calpestando i principi di inclusività, solidarietà e leale competitività.
Questa idea si fonda sull’orrendo principio che il più forte per storia e titoli, debba avere dei privilegi rispetto ai più deboli e meno titolati. Tradotto nella vita di tutti giorni significa che si vuole avvantaggiare chi gestisce il potere, congelando la situazione attuale e privando chiunque della possibilità di migliorare la propria condizione di partenza. Come potete ben capire, qui non si sta parlando soltanto di calcio e di sport, ma di una piramide sociale ed economica, le cui pareti rischiano di diventare sempre più ripide. Il tema centrale rimane sempre lo stesso, il più forte, il più ricco, quello che in passato possedeva titoli nobiliari non accetta di essere messo in discussione, rinnega la competizione e la leale concorrenza che dovrebbero essere il principio cardine del capitalismo e fugge dal regolatore, perché non vuole sottostare alle regole ed essere giudicato qualora le avesse violate. Questi club, ormai divenute multinazionali in mano a sceicchi, imprenditori stranieri, trust e presidenti sull’orlo della bancarotta, stanno cercando di costituire un oligopolio dei pochi e dei ricchi per fregare la moltitudine, che in questo caso specifico sono il popolo dei tifosi che amano lo sport e il calcio.
Dobbiamo difendere un modello di sport europeo basato sui valori, sulla diversità e sull’inclusione. Ma è anche assolutamente necessario regolare e fermare chi vuole interpretare un capitalismo fuori controllo, che uccide la libera concorrenza, rincorre oligopoli e priva il futuro della possibilità di cambiare il presente. Oggi si parla di calcio, domani toccherà all’industria alimentare, farmaceutica ed energetica. Se le Istituzioni europee, già fortemente in crisi, cedessero di un millimetro, cosa potrebbe accadere in futuro? È il momento di un giro di vite serio capace di regolamentare la delocalizzazione delle imprese, di rendere più equo ed uniforme il mercato del lavoro, di tassare con maggiore decisione alcuni tipi di profitto e rendita, di redistribuire ricchezza, prevedendo tetti salariali a stipendi vergognosamente elevati. È il momento di più regolamentazione, per difendere chi è più debole e rischia di essere più danneggiato dalla crisi sociale ed economica. Oggi ho scritto di calcio, anche se in realtà si tratta della secolare battaglia politica, sociale ed economica fra i pochi e i molti. Ed è davvero incredibile che possa essere proprio il calcio a rendere così evidente a tutti le storture di un modello economico che deve essere profondamente messo in discussione, se si vuole garantire la sopravvivenza di tutti.