L’AI Action Summit di Parigi, che prende il via oggi, è un’occasione cruciale per valutare l’impatto dell’intelligenza artificiale sul mondo del lavoro e confrontare le strategie nazionali e internazionali per la sua governance. In un momento di trasformazioni epocali, Unione Europea, Stati Uniti, Cina e altre potenze emergenti si troveranno a discutere le sfide di un’innovazione tecnologica che corre più veloce delle regole. L’obiettivo per l’Europa è chiaro: dare continuità all’AI Act, il primo quadro normativo al mondo volto a garantire un’intelligenza artificiale etica, sicura e trasparente. Ma armonizzare regolamentazione e sviluppo non è affatto semplice.
Ogni Paese segue la propria strada, in una corsa alla supremazia tecnologica che si fa sempre più serrata. Lo dimostrano i primi atti della presidenza Trump, che ha iniziato a smantellare il quadro normativo sull’IA impostato dal suo predecessore. Non è un caso che Elon Musk non sarà presente al summit: gli Stati Uniti stanno puntando tutto sul progetto Stargate, mentre la Cina ha stupito il mondo con il recente exploit di DeepSeek. Intanto, milioni di persone interagiscono ogni giorno con ChatGPT e con le applicazioni basate sugli algoritmi di OpenAI. L’intelligenza artificiale è già qui, e sta cambiando radicalmente le nostre vite.
Oltre la sicurezza: il rischio della concentrazione del potere
Il dibattito al summit non si limiterà ai temi della sicurezza. È necessario affrontare questioni cruciali come la diversità linguistica e culturale, il costo energetico dell’IA e il rischio di concentrazione del potere in poche mani. Il premier spagnolo Pedro Sánchez ha lanciato un duro attacco a Big Tech, denunciando l’uso degli algoritmi come strumento di oppressione. “La tecnologia che doveva liberarci è diventata la nostra stessa gabbia”, ha dichiarato il premier spagnolo, rilanciando l’allarme delle Nazioni Unite: senza regole adeguate, l’espansione incontrollata dell’intelligenza artificiale può minare la stabilità delle economie mondiali.
L’accusa non è rivolta solo a Musk. Come ha scritto Yuval Noah Harari nel suo libro Nexus, l’IA può diventare un’arma nelle mani di chi vuole concentrare il potere, limitando la libertà e minacciando la democrazia. Il dibattito non è più solo tecnico, ma politico.
L’Europa di fronte a una scelta: dominare o essere dominata?
L’Europa si trova davanti a un bivio. Deve rimanere “erbivora”, come direbbe Macron, e rischiare di essere schiacciata dai colossi tecnologici di Stati Uniti e Cina? Oppure può trovare una terza via, capace di conciliare innovazione e tutela dei diritti, come ha fatto negli ultimi decenni con il mercato globale? Per imporsi come modello alternativo, l’Unione Europea deve agire rapidamente, costruendo un ecosistema europeo di innovazione e regolamentazione che le permetta di competere senza tradire i propri valori.
La sfida è immensa. Chiedere a un’intelligenza artificiale se sia un sistema oggettivo porta a una risposta tanto sincera quanto preoccupante: “L’intelligenza artificiale non è intrinsecamente oggettiva, poiché è progettata, addestrata e utilizzata da esseri umani che introducono inevitabilmente bias nei dati, negli algoritmi e nelle decisioni prese dall’IA”. Se l’IA viene sviluppata senza regole comuni e con finalità divergenti, rischia di amplificare pregiudizi esistenti e inasprire i rapporti internazionali, favorendo un ritorno ai nazionalismi tecnologici. Uno scenario che riecheggia le tensioni dei primi del Novecento, e che potrebbe gettare il mondo in una nuova fase di instabilità.
L’intelligenza artificiale come strumento di giustizia sociale
Ma se l’IA può diventare un’arma di oppressione, può anche essere un potente strumento di emancipazione. Qui entra in gioco la sinistra riformista, che non può limitarsi a denunciare i rischi dell’intelligenza artificiale: deve appropriarsene per ridurre le disuguaglianze e costruire un futuro più equo e sostenibile.
L’intelligenza artificiale ha il potenziale per contrastare la precarietà lavorativa, migliorando la distribuzione del lavoro e aumentando la produttività senza alimentare lo sfruttamento. Può rivoluzionare i servizi pubblici, rendendo sanità, istruzione e welfare più accessibili ed efficienti per tutti, senza discriminazioni. Può garantire maggiore trasparenza e giustizia, rendendo più equi i processi decisionali e prevenendo discriminazioni nei sistemi di selezione e valutazione. Ma soprattutto, può diventare uno strumento per regolamentare i colossi tecnologici, spezzando la loro egemonia e impedendo che poche aziende e pochi miliardari dettino le regole del futuro.
L’errore più grande sarebbe lasciare l’intelligenza artificiale nelle mani del neoliberismo e delle élite tecnologiche. La sinistra deve rivendicare un’IA al servizio della collettività, capace di redistribuire opportunità e non di rafforzare disuguaglianze. Deve essere una forza propositiva, capace di costruire modelli di governance che impediscano l’uso dell’IA come strumento di esclusione e sorveglianza, trasformandola invece in un mezzo per democratizzare l’accesso al sapere e alle risorse.
La battaglia sull’IA non è solo una sfida tecnologica: è una battaglia politica e sociale. L’Europa ha un’occasione storica per dimostrare che l’innovazione può essere compatibile con la giustizia sociale e i diritti umani. Ma il tempo stringe. Se non scriviamo noi le regole del gioco, saranno altri a farlo. E non è detto che lo facciano nell’interesse di tutti.