Oddio è lunedì #110 – da #JesuisCharlie a #Jesuisnous

C’è un rito tutto italiano inspiegabile per qualsiasi altro abitante del pianeta. È quello che si celebra ogni anno con il Festival di Sanremo, ultimo inestinguibile baluardo dell’intrattenimento canoro italico. Ogni anno ci si divide fra chi lo guarda perché lo ama, chi per criticarlo, chi per ostentare una presunta intolleranza che sfocia nel sadismo, poiché di fatto è quasi impossibile evitare di incappare in una canzone alla radio, in un commento sui social o in qualche gruppo di ascolto/dibattito. Sanremo è rimasto uno degli ultimi comun denominatori del nostro Paese. Il palco dell’Ariston assomiglia un po’ allo stadio quando al mondiale di calcio gioca la Nazionale azzurra. Per qualche giorno ci ritroviamo tutti italiani, come quando da piccoli guardavamo le nostre famiglie strette sul divano ad ascoltare Pippo Baudo o Mike Bongiorno.

Sanremo incarna il midollo del paese reale e non a caso per molti anni la settimana del Festival è stata anche un luogo dove la politica, spesso strisciante fra le battute dei comici, i testi delle canzoni e le incursioni nel teatro, ha avuto un suo specifico ruolo, al pari di quando si commentano al bar le scelte del governo di turno. Quest’anno, al contrario, dal governo giallo-verde è arrivato un aut aut molto chiaro, ben spiegato dalla parole di Mario Morcellini, commissario Agcom e consigliere alla comunicazione dell’Università La Sapienza di Roma. “Stop all’arroganza della politica sul Festival”. Per la nuova governance della Rai, il festival avrebbe dovuto avere più elementi nazional popolari e maggiore attenzione per le canzoni, piuttosto che consentire incursioni nei problemi della società reale. In sostanza si è voluto trasformare il Festival in un dei tanti programmi di vuoto intrattenimento, tanto cari al palinsesto di Mediaset. Ne è uscito un prodotto noioso, a tratti imbarazzante, con sketch che sarebbero stati fischiati da qualsiasi pubblico, qualora fossero stati portati in scena in un teatro o in un locale, invece che sul sacro palco dell’Ariston. In diretta sulla rete ammiraglia della Rai si è voluto celebrare il vuoto pneumatico dei contenuti. Quello stesso vuoto che impregna le aule del Parlamento italiano e che riecheggia macabro nei commenti sempre più frustrati dei social network.

Quindi meglio ascoltare per dieci minuti Claudio Bisio e Virginia Raffaele storpiare in ogni modo la canzone “Ci vuole un fiore” di Sergio Endrigo, piuttosto che intonare – chennesò – la Marsigliese, per ricordare ai nostri fratelli francesi che non siamo tutti come Di Maio e Salvini. Per ricordare a noi stessi come sia impossibile esserci già dimenticati di come ci sentimmo dopo la strage terroristica di Charlie Hebdo. Allora eravamo tutti #JesuisCharlie, mentre ora siamo diventati tutti improvvisamente #Jesuisnous. Noi siamo noi e basta. Anche quando la Francia richiama il proprio ambasciatore dal nostro Paese, perché un vicepremier incontra il presunto leader di un movimento che ogni settimana punta a destabilizzare la democrazia transalpina. Anche quando l’Italia rimane isolata dal resto dei paesi europei, perché non vuole riconoscere Juan Guaidó, preferendo sostenere in Venezuela Nicolas Maduro. Una posizione criticata per primo dal Presidente del Parlamento europeo Antonio Tajani, incredulo nel dover commentare come il proprio Paese sia schierato al fianco di Turchia, Cuba e Cina. Purtroppo Tajani, come molti altri, hanno la memoria corta, poichè per la destra e i populisti italiani schierarsi dalla parte sbagliata della storia è una triste abitudine.

#Jesuisnous. Noi siamo noi, anche quando ci voltiamo dall’altra parte per non dover vedere un migrante che muore in mare o un senza tetto che perde la propria vita per il freddo a Roma, circondato da palazzi con le pompe di calore e le caldaie accese al massimo. #Jesuisnous. Anche quando pensiamo superficialmente che da soli saremo in grado di superare la crisi economica e del lavoro. #Jesuisnous. Anche quando crediamo che la chiusura delle frontiere e il ritorno allo stampare moneta possano davvero rappresentare una soluzione reale in un mondo sempre più informatizzato, dove i nostri figli non avranno presto più bisogno di carta e penna, figurarsi della moneta cartacea. A svegliarci dal vuoto del Festival, ci ha pensato l’esito non scontato della gara. Ha vinto Mahmoud, il cui nome di battesimo è Alessandro, un ragazzo del 1992 nato a Milano da madre italiana e padre egiziano. Con la sua canzone “Soldi” ha avuto la meglio sul romano di San Basilio Niccolò Moriconi, in arte Ultimo. Non volendo entrare troppo nel merito delle canzoni finaliste, c’è comunque da essere felici che a vincere sia stato un italiano che non piace alle destre e ai populisti.

Chi non si è potuta godere il Festival di Sanremo è stata la Sindaca di Roma Virginia Raggi, alla prese con l’ennesima crisi della sua giunta. L’immortale inquilina del Campidoglio ha sotterrato l’ennesimo assessore. Stavolta è toccato a Pinuccia Montanari, l’assessore alla mondezza indicata direttamente da Beppe Grillo, che ha deciso di fare le valigie dopo la bocciatura da parte della giunta capitolina del bilancio di Ama. Non ho mai apprezzato la Montanari e ritengo che in questi mesi abbia anche pronunciato molte menzogne, soprattutto durante l’ultimo consiglio comunale. Tuttavia comprendo il suo gesto. La Montanari ha già capito che siamo difronte ad un’altra Atac, poiché le scelte scellerate della Sindaca possono portare dritte al fallimento dell’azienda dei rifiuti della capitale.

Virginia ormai è la caricatura di se stessa e si dice stufa. Sembra quasi Sabina Guzzanti quando la imita. La Raggi sembra prendersela con altri (tutti scelti da lei peraltro) e non si rende nemmeno più conto di quanto siano stufi i romani. Qualsiasi altro politico a questo punto della farsa avrebbe avuto il buon senso di rassegnare le proprie dimissioni. Deve essere invece chiaro a tutti che la Raggi non lascerà mai la poltrona. Può dimettersi chi è libero e intellettualmente onesto. Lei invece non può, semplicemente perchè non sente di rispondere ai romani che l’hanno eletta, ma solamente a Casaleggio che l’ha nominata. Per questa ragione non ci resta che continuare a riempire le piazze, come hanno fatto sabato i sindacati, per chiedere al più presto nuove elezioni a Roma. La città non è mai stata così abbandonata a se stessa. Ed ormai la colpa è davvero soltanto di chi la sta governando male.

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