C’è una questione più di ogni altra che mi fa arrabbiare nel tentativo di invasione del nord della Siria da parte di Erdogan ed è l’immobilismo dell’Unione Europea davanti a questa palese violazione del diritto internazionale e dei diritti umanitari. Quando c’era da combattere Daesh e le milizie dello Stato Islamico, la Turchia non ha mosso un dito, favorendo con il proprio immobilismo l’infiltrazione dei foreign fighter che hanno ingrossato le file del terrorismo islamista. Al contrario le unità di Protezione Popolare (Ypg) e le forze democratiche della Siria (Fds), composte dall’alleanza curdo-araba, sono state decisive nelle operazioni di liberazione di Raqqa e Kobane. Ogni giorno ascoltiamo dai leader di Stati Uniti ed Unione Europea discorsi su come la lotta all’Isis non sia ancora terminata e dichiarazioni di condanna sulle azioni militare promosse da Erdogan. Ascoltiamo parole, ma non vediamo fatti. In politica le affermazioni non hanno alcun valore, se non vengono supportate dai fatti. La responsabilità di governo non può limitarsi all’opportunità di ricevere un incarico, ma porta con se l’onere di dover agire quando necessario. Siamo difronte ad un bivio: sottostare ai ricatti di Erdogan sui profughi oppure difendere i principi occidentali di libertà e democrazia. L’Unione Europea e l’Italia in prima linea devono immediatamente sospendere qualsiasi accordo commerciale con la Turchia (non solo sulle armi) e lavorare alla convocazione di una Conferenza Internazionale di Pace con tutti gli attori regionali. Erdogan deve essere fermato, poichè la creazione di una “fascia di sicurezza“, ovvero l’occupazione di una parte della Siria per compiere un’operazione di pulizia etnica nei confronti della popolazione curda insediata in quei territori rappresenta un’ipotesi inaccettabile. Ad Istanbul sono stato recentemente durante gli ultimi giorni di campagna elettorale per l’elezione del Sindaco della città. Un elezione che il neo Sindaco Ekrem İmamoğlu ha dovuto vincere due volte, poichè Erdogan non era felice del risultato. Ora sia ben chiaro: se ti comporti da dittatore, sei un dittatore.
In Europa, purtroppo, non va molto meglio. Il terrorismo è vivo e vegeto e si nutre di esaltati e disperati, che vengono reclutati ed usati come strumenti di morte. Ne è l’ennesimo esempio la follia del 27enne Stephan Balliet, autore dell’attacco ad Halle nell’Est della Germania, in cui hanno perso la vita due persone. Il bilancio dell’attacco sarebbe potuto essere ben peggiore, poichè l’assassino aveva pianificato l’azione contro i fedeli di una sinagoga già da tempo, come dimostrano i suoi post deliranti su twitter. All’origine dell’attacco la convinzione da parte di Balliet che la tragedia della Shoah non fosse mai esistita e l’avversione degli ebrei quale origine di tutti i problemi. La matrice antisemita dell’attacco è stata subito confermata, poichè ormai questo genere di attentati viene filmato in diretta, utilizzando le nuove tecnologie e le piattaforme social. Tuttavia questo tipo di attacchi sono sempre meno isolati e mostrano un ritorno inquietante del mostro del nazismo in Germania. A conferma di questo pericolo ci sono dati e numeri diffusi recentemente dal Verfassungschutz, i Servizi interni tedeschi. Nel 2018 in Germania sono stati registrati 24.000 estremisti di destra, militanti che appartengono a gruppi, movimenti, partiti politici dichiaratamente neonazisti e xenofobi. La maggioranza di questi individui proviene dalle Regioni orientali del Paese, ma anche dai ricchi Länder dell’Ovest come Nord Reno-Westfalia, Assia e Baviera. Tra di loro almeno 12.700 sono considerati violenti ed estremamente pericolosi. Soltanto nel 2018 secondo i dati forniti dalla Polizia Federale, in Germania sono stati registrati almeno 13.000 reati compiuti da estremisti di destra. La maggior parte dei quali sono violenze, aggressioni a stranieri, richiedenti asilo e avversari politici, ma anche omicidi, possesso illegale di armi e apologia del nazismo. Il dato che fa maggiormente tremare è quello relativo ai reati a sfondo antisemita che nel 2018 sono stati 1.799, in crescita del 20% rispetto all’anno precedente. Siamo nella civile Germania alle soglie del 2020 e dobbiamo fare i conti con il ritorno del peggior nemico della libertà e delle democrazie occidentali.
Segnali molto preoccupanti ci sono anche in Italia, dove il Parlamento si occupa di ridurre il numero dei Parlamentari, ma sembra poco interessato alla difesa dei diritti. Il taglio dei parlamentari assomiglia moltissimo all’abrogazione del finanziamento pubblico ai partiti. Colpisce la Politica, quella con la P maiuscola, perchè riduce gli spazi di democrazia rappresentativa, rende molto più difficile per chi si occupa di politica sul proprio territorio riuscire ad arrivare a rappresentare gli interessi della propria comunità in Parlamento e soprattutto non produce alcun risparmio serio per le casse dello Stato. Ridurre i parlamentari con un taglio lineare equivale a ridurre il numero dei medici o quello degli insegnanti. Vuol dire semplicemente che ognuno di noi avrà meno possibilità di farsi ascoltare da chi ci rappresenterà in Parlamento e soprattutto che ci sarà ancora meno legame fra parlamentari ed elettori. Quando si riducono gli spazi di rappresentanza sotto scroscianti applausi, si rischia di vedere ridimensionati anche i diritti. Per questo mi ha davvero preoccupato l’episodio denunciato questa settimana da un giovane sindacalista, che nel tentativo di prendere un taxi a Roma si è sentito rispondere dall’autista che si sarebbe dovuto sedere davanti con lui. Lo sfortunato protagonista di questo episodio è un laureato in Sociologia all’Università Federico II di Napoli ed è attivo come sindacalista dell’Unione Sindacale di Base per tutelare i diritti dei lavoratori agricoli contro lo sfruttamento e il caporalato. Il tassista dalla pelle bianco latte che non lo ha voluto seduto sui sedili posteriori del proprio taxi, come tutti gli altri suoi clienti, non conosceva ovviamente chi avesse difronte, ma deve essergli bastato uno sguardo fugace alla pelle nera carbone del suo cliente per scegliere di commettere il suo piccolo atto quotidiano di vile razzismo. Il bianco razzista che guida il taxi molto probabilmente non leggerà mai il libro “Umanità in rivolta“, edito da Feltrinelli e scritto dall’italo-ivoriano Aboubakar Soumahoro. Pensa di non averne bisogno e mi sembra quasi di vederlo mentre alza il volume della sua radio fissa su qualche emittente calcistica, torna a casa fiero del suo gesto da italiano “vero“, aspettando di poterlo fieramente raccontare agli amici del bar. Il diritto di definirci italiani, europei, esseri umani va guadagnato.
Ho sostenuto, non senza difficoltà, la necessità di un governo fra il Partito Democratico e il M5S per perseguire gli obiettivi di salvaguardare i conti, evitare l’aumento dell’IVA e non precipitare il Paese alle elezioni, soltanto per assecondare la sete di potere di Matteo Salvini. Come anche già scritto avrei preferito la via lineare delle elezioni. Tuttavia spesso in politica è necessario anteporre la propria idea all’interesse generale. Sostegno al governo di conseguenza, ma anche scetticismo su un’alleanza duratura con l’attuale M5S. In queste ultime settimane, poi, dall’accordo di governo si è passati ad ipotizzare e costruire alleanze con i grillini in alcune Regioni, quali l’Umbria e l’Emilia Romagna. Su queste ipotesi mi sono dovuto mordere la lingua, perché le ritengo un esperimento rischioso e di difficile riuscita, pur tuttavia comprendendo la necessità di consolidare l’esperienza di governo per provare a costruire in futuro una coalizione più ampia e capace di essere argine alla destra di Salvini. Fin qui dunque ho difeso la linea politica del segretario Nicola Zingaretti e del gruppo dirigente nazionale. Le dichiarazioni su Virginia Raggi, rilasciate da Nicola Zingaretti su La7, rappresentano tuttavia un punto di rottura. Mi auguro che il segretario e il gruppo dirigente nazionale le chiariscano nelle prossime ore, perché è davvero impossibile non chiedere ogni giorno le dimissioni di un Sindaco incapace come la Raggi. Intendiamoci, chiederle non vuol dire ottenerle e questo lo sappiamo bene. In questi due anni, però, le abbiamo chieste in tutte le sedi e come Partito Democratico di Roma su questa linea politica abbiamo riportato i democratici primo partito nella Capitale (malgrado alcuni persino nel mio partito facciano fatica a riconoscerlo), costruendo una coalizione vincente alle elezioni municipali anticipate del III e dell’VIII Municipio. Virginia Raggi dovrebbe dimettersi per il bene della città e perché i romani sono stanchi di come non viene amministrata Roma. Il Pd è all’opposizione e le chiede di andarsene perché sono i cittadini che vogliono cambiare. È una realtà oggettiva romana che nessun calcolo politico nazionale potrà cambiare. Basterebbe farsi un giro in un mercato o provare a prendere la metro (quando funziona). Per questa ragione continuerò a chiedere le dimissioni della Sindaca Raggi, parteciperò alle manifestazioni della società civile che invocano il commissariamento della Sindaca e se ce ne sarà bisogno sarò in prima linea nel mio partito perché non si cambi linea politica, senza un passaggio formale con gli iscritti del Pd di Roma. Lo dobbiamo ai tanti romani che sono tornati ad avere fiducia in noi e che a noi guardano per tornare ad amministrare bene la Capitale del Paese.