Il braccio di ferro con la Corea del nord sembra essere ormai giunto ad un punto di non ritorno. Dopo le minacce coreane di colpire l’isola di Guam e il sorvolo di un missile finito in mare a largo dell’isola di Hokkaido, ieri un’esplosione stimata in 120 chilotoni, quasi dieci volte l’atomica di Hiroshima, ha prodotto un terremoto di magnitudino 6.3. Non è dunque servita a molto la riunione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite del 29 agosto scorso. Non sono bastate le sanzioni economiche inflitte a Pyongyang. Persino l’ex pacifista presidente sucoreano Moon Jae-inn ha auspicato per la Corea del Nord “la più forte punizione possibile“, mentre Cina e Russia hanno fortunatamente fermamente condannato le azioni del leader nord coreano Kim Jong-Un, pur invitando tutti alla calma. Tuttavia la reazione che si attende con maggiore apprensione è quella degli Stati Uniti e del suo presidente Donald Trump, che dopo aver scritto qualche tweet non proprio rassicurante, ha assicurato il sostegno al Giappone in caso di aggressione.
La possibilità dell’escalation atomica ci riporta improvvisamente all’idea di devastazione globale della guerra tradizionale, così diversa dal terrorismo con cui stiamo ormai convivendo da un decennio. La crisi della corea del nord, forse anche a causa delle caricature di alcuni suoi protagonisti, assomiglia sempre di più alla trama de “Il dottor Stranamore” di Stanley Kubrik. Il film per chi non lo avesse visto è un “must” assoluto ed anticipa di almeno cinquant’anni le paranoie populiste che vanno tanto di moda oggi. A giudicare dall’odio e dal risentimento che trasuda dai commenti dei social network, persino in Paesi fortunati come il nostro, non c’è da essere molto ottimisti per il prossimo futuro.
Prendiamo ad esempio la vicenda terribile degli stupri di Rimini del 25 agosto scorso. Le forze dell’ordine hanno arrestato gli autori delle violenze. Sono quattro uomini, due fratelli marocchini di 15 e 17 anni, un nigeriano di 16 e il capo banda, un congolese di 20 anni. Devono pagare per i reati che hanno commesso e per aver rovinato le vite delle loro vittime. Lo ha detto giustamente al Resto del Carlino anche il padre dei due fratelli, che vive in Italia da diversi anni. Dobbiamo augurarci che la giustizia faccia il suo corso e garantisca la certezza della pena, senza sconti. Tuttavia sui social si è visto di tutto, si è letto di generalizzazioni inaccettabili, si è assistito alle consuete strumentalizzazioni politiche da parte di chi usa le tragedie per speculare e guadagnare qualche voto in più. Su argomenti come lo stupro, tuttavia, non si può banalizzare o utilizzare facili capri espiatori. Bisogna essere seri se ci si vuole guardare allo specchio.
Per l’Istat ogni giorno nel nostro Paese vengono commessi 11 strupri, sono 4000 mila l’anno. Le donne colpite in Italia sono più di un milione, ma stiamo parlando soltanto dei dati effettivi, frutto delle denunce delle vittime. In realtà lo stupro è un reato che molto più spesso rimane sommerso e senza colpevoli. Gli autori sono in maggioranza italiani (7 su 11), con 1.534 denunciati nei primi sette mesi del 2017. Resta altissima ovviamente anche l’incidenza degli immigrati per questo reato (904), sia come autori che come vittime. Tuttavia cercare di legare lo stupro all’immigrazione, come ha cercato di fare Forza Nuova con un manifesto indegno, non soltanto non risolve problema, ma rappresenta un errore di ignoranza, che giova soltanto a quegli uomini di tutte le etnie e nazionalità che abusano di una donna. Lo stupro non ha nulla a che vedere con l’etnia o il colore della pelle ed è un crimine indegno, che come uomo mi fa vergognare ogni giorno, poichè i colpevoli non sono romeni, marocchini, albanesi o italiani, ma semplicemente animali.
Roma sta tornando alla normalità dopo i mesi estivi. Sono arrivati i primi scroscioni di pioggia, è tornato il consueto traffico, c’è qualche problema nella riapertura di nidi e materne, la Roma ha perso la seconda partita di campionato e la Sindaca Virginia Raggi ha già cambiato un assessore della sua giunta. Insomma tutto procede secondo il programma della Casaleggio e associati, che sul blog di Beppe Grillo ha pensato bene di scrivere quanto Roma sia pulita e ben governata. Una panzana che ha irritato non poco i frequentatori dei social e che il Partito Democratico di Roma ha deciso di respingere con la campagna comunicativa #unacartolinaperGrillo. Si tratta di condividere una foto della Roma che non ci piace e allegarla alla cartolina dedicata a Beppe. Ne sono già state pubblicate moltissime sulla pagina facebook del Pd Roma. Non sia mai che il comico genovese possa ritrovare il senso della realtà.
A proposito di fotografie, avete fatto caso alle ultime postate da Virginia Raggi? Dal selfie con i fan direttamente dallo stabilimento balneare a quello con Francesco Totti sulle gradinate dello Stadio Olimpico per la partita di beneficienza con la Chapecoense. Su quest’ultima foto i social si sono scatenati ed ho deciso di pubblicare quella che mi ha divertito di più. La verità, tuttavia, è che la Sindaca è ovunque, tranne dove servirebbe la sua presenza istituzionale. Non c’era in Piazza Indipendenza per affrontare la questione dei rifugiati sgomberati. Non c’era in Campidoglio per dare spiegazioni in commissione politiche sociali. Era assente anche durante i gravi momenti di tensioni che si sono vissuti in questi giorni al centro migranti del Tiburtino III. D’altrone la Sindaca di Roma è fatta così. Non c’era nemmeno alle riunioni sul lago di Bracciano per l’emergenza idrica, come le ricordava la Sindaca del M5S di Anguillara Sabazia Sabrina Anselmo.
In questo anno spesso si sono interpretate queste assenze come segnali politici. La verità, invece, spesso è molto più semplice. Che la Raggi non fosse proprio una stacanovista ce lo aveva provato a spiegare anche il giornalsita Franco Bechis, prima delle elezioni amministrative, quando aveva pubblicato un articolo per verificare il lavoro di opposizione della consigliera pentastellata. Nelle cinque commissioni comunali di cui faceva parte, la Raggi si era fatta notare più per le sue assenze, che per idee e le battaglie. Su 135 sedute delle commissioni politiche sociali, cultura, scuola, trasparenza ed elette, l’allora consigliera Raggi aveva partecipato soltanto a 49 sedute. Stiamo parlando del 36% di presenze nelle sedute delle commissioni, con punte di assoluto disinteresse per la commissione delle elette, dove su 12 riunioni Virginia non si è mai vista. Per quale ragione, quindi, stupirsi per le sue continue assenze? O per l’idea di eliminare la parità di genere dalla giunta capitolina? La spiegazione più semplice spesso è anche la più vera. L’amministrazione di Virginia Raggi non funziona per incapacità e scarsa applicazione. Peccato soltanto che non possa essere bocciata dopo un anno, come capita ad uno studente qualsiasi e che la città se la debba tenere ancora per quattro.
Anni in cui il M5S sta cambiando pelle e sconfessando molti suoi principi, come quello sulla trasparenza e la legalità. E’ di sabato la notizia pubblicata da Repubblica di una delibera bavaglio, che limiterebbe l’accesso agli atti della pubblica amministrazione, minando la possibilità di verificare l’azione di governo della capitale, in aperto contrasto con i principi di trasparenza e legalità. Insieme al segretario romano Andrea Casu abbiamo già annunciato un’opposizione durissima verso una delibera liberticida, che ha visto anche la ferma opposizione della Federazione Nazionale della Stampa Italiana. In sostanza il M5S vuole oscurare l’azione amministrativa, rendendo più difficile il lavoro di dirigenti, consiglieri municipali e giornalisti.
Se questa delibera, già transitata per la giunta, dovesse essere approvata anche dal consiglio comunale, costringerebbe i dirigenti a compiere una sorta di valutazione politica sull’accesso agli atti, immaginandone il potenziale uso strumentale e danno all’immagine che le risposte dell’amministrazione possono generare con la pubblicazione degli stessi sui social o sui blog. Come se una delibera comunale potesse aggirare il nuovo diritto di accesso agli atti (FOIA), approvato dal Parlamento. Con il nuovo regolamento, persino gli amministratori municipali avrebbero delle limitazioni all’accesso, con la presunta motivazione di non aggravere il lavoro degli uffici. L’assessore comunale Flavia Marzano, dopo alcune ore di silenzio, ha provato sui social a bollare la notizia di Repubblica come una fake news… Sarebbe come il bue che dice cornuto all’asino. In realtà l’assessore non è riuscita a sconfessare la notizia e il suo comunicato di difesa è sembrato molto vago, soprattutto perchè la delibera bavaglio non è stata pubblicata. La ragione di questa improvvisa svolta dalla trasparenza totale proclamata in campagna elettorale alle norme bavaglio sull’accesso alle informazioni riguardanti l’azione del governo a 5 stelle, è abbastanza evidente: la Sindaca, dopo aver già tacitato se stessa perchè commissariata dai vertici del M5S, vorrebbe silenziare anche i giornali e le opposizioni, colpevoli di raccontare quotidianamente i problemi causati dalla cattiva gestione della Capitale. Stia serena, non ci riuscirà.
Il Partito Democratico di Roma è vigile sui problemi della città e ne discuterà dal 7 settembre al Festival dell’Unità di Testaccio (Città dell’Altra Economia – Ex Mattatoio). Da qualche giorno oltre al sito www.pdroma.it è attivo anche il sito www.festaunitaroma.it sul quale nei prossimi giorni sarà pubblicato il programma politico e quello degli eventi artistici. In attesa di darvi alcune delle prime date dei dibattiti, segnalo anche l’appuntamento di Left Wing a Tarquinia per il 16-17 settembre. Si parlerà del presente e del futuro della nostra generazione, quella che rischia di stare peggio dei propri genitori. Sul tema vi segnalo il duro articolo di Enrico Pazzi. Concludo pubblicando uno dei video di promozione del festival dell’Unità. Ci vediamo a Testaccio, per parlare assieme di #tuttaunaltraRoma.