Quando si ha la passione per la politica, si tende a guardare il mondo con altri occhi e non si smette mai veramente di farla, nemmeno quando si è in vacanza con i propri amici. Questo perché ogni cosa tende ad avere anche un significato politico. Ogni scelta, ogni situazione, ogni storia umana è in qualche modo il frutto di una scelta politica, spesso compiuta da qualcun altro e che influisce direttamente o indirettamente sulle nostre vite. Per questa ragione oggi voglio parlare della mia visita a Castel del Monte, una fortezza meravigliosa, fatta costruire nel XIII secolo dall’Imperatore del Sacro Romano Impero Federico II nell’altopiano delle Murge occidentali in Puglia, in quella che è l’attuale frazione omonima del Comune di Andria. Non vi parlerò della monumentale opera di Federico II, ma di chi abbiamo incontrato una volta arrivati davanti alla poderosa costruzione ottagonale. Appena scesi dal piccolo van che dal parcheggio aveva il compito di portarci all’ingresso del castello, siamo stati accolti dalle proteste molto civili di una signora. Si trattava di una guida turistica del luogo, che denunciava la scelta della direzione regionale dei musei della Puglia di vietare i tour turistici all’interno del castello e di consentirli, tuttavia, soltanto ad una determinata associazione concessionaria. A difesa della propria scelta la direzione regionale ha spiegato di aver optato per il principio della gradualità e della cautela nella riapertura di Castel del Monte, che ha comportato una drastica riduzione del numero possibile di visitatori. Infatti all’interno del castello potevano entrare al massimo 18 persone per ogni ora. Soltanto quelle che avevano prenotato in anticipo come avevamo fatto noi.
La questione non riguarda soltanto Castel del Monte. A Roma ad esempio non si permette alle guide turistiche di organizzare visite a Villa Borghese. Sono 25 mila le guide italiane che da febbraio sono rimaste senza lavoro e ad oggi non hanno alcuna prospettiva, perché non ci sono rassicurazioni sui tempi di ripresa del turismo di massa. Sono lavoratori che hanno perso anche il turismo scolastico e che vedono cancellati quotidianamente eventi, mostre e tour. Il quadro della crisi di questo settore è già stato denunciato alla Commissione Cultura del Senato da Adina Persano, Presidente dell’ANGT, l’associazione che rappresenta le guide turistiche abilitate in Italia. Ad aggravare la situazione provocata dall’emergenza Covid-19 ci hanno pensato anche le interpretazioni di Regioni e Comuni, riguardo le linee guida descritte dal Governo rispetto a musei, siti artistici e archeologici. In definitiva il rispetto delle misure molto restrittive a tutela della salute pubblica sta provocando una crisi del settore.
Questo trattamento per i lavoratori della cultura sarebbe persino giustificabile, seppur doloroso, se al contrario non ci trovassimo qualche ora dopo davanti tutt’altra scena. A fine giornata, dopo aver visitato Castel del Monte, siamo andati a Trani, città portuale famosa per la sua bellissima cattedrale sul mare. La vita notturna di questa bella cittadina sembra non avere alcun ricordo dell’emergenza Covid. In ogni locale c’è un assembramento. Praticamente nessuno indossa la mascherina. Anche la mia, ad un certo punto, diventa una sorta di accessorio di abbigliamento che sono costretto ad abbassare un poco per non sembrare eccessivamente ridicolo. Non ci sono saponi per le mani o attenzione al distanziamento fisico. Siamo nel mondo pre covid e tutti sono felici, soprattutto i gestori dei locali che possono far entrare centinaia di persone e stiparle una vicina all’altra. Quello che avviene a Trani sta avvenendo in queste ultime ore anche in città come Roma, dove la movida è tornata priva di controlli. Non è un caso che proprio questo fine settimana il segretario del Partito Democratico Nicola Zingaretti abbia giustamente fatto appello alla responsabilità, stigmatizzando i comportamenti spavaldi e irresponsabili, che mettono a repentaglio la salute delle persone.
La questione non riguarda soltanto la salute pubblica che è un tema centrale, ma anche il rispetto delle regole per tutti. Consentire l’interpretazione differente della stessa regola crea ulteriori disuguaglianze. Non si può far valere meno il lavoro degli operatori della cultura rispetto a quelli della movida. Se il settore pubblico mantiene le regole e il settore privato decide di ignorarle, senza che vi siano controlli e conseguenze, non soltanto stiamo prendendo in giro noi stessi, ma rischiamo di provocare un danno economico e sociale che colpisce soltanto chi quelle regole le rispetta. Lo Stato deve difendere chi le regole le rispetta e deve controllare chi invece per la logica del profitto ha deciso di far finta di nulla. Per questa ragione non è accettabile politicamente ed eticamente la discriminante fra gli operatori della cultura e quelli del commercio. Entrambi lavorano ed entrambi devono avere gli stessi diritti e gli stessi doveri. Se si contingentano le persone per visitare una mostra o andare ad un concerto, lo stesso deve valere per i locali dove si mangia, si beve e si balla. Altrimenti non vale più nulla e soprattutto si consente al virus di continuare la sua azione di contagio. Spetta al Governo e al Parlamento dare le regole generali, poi servono amministratori capaci di farle rispettare, anche se questo può costare qualcosa in termini di consenso. La politica dovrebbe essere l’arte di saper decidere per il bene collettivo. Mi auguro davvero che quegli amministratori Regionali e Comunali, che come me stanno assistendo a queste scene ogni sera, comprendano quanta responsabilità abbiano le loro azioni e con coraggio decidano di intervenire dove necessario.