Il modo di fare politica del leader della Lega Matteo Salvini può essere sintetizzato facilmente analizzando i due episodi che hanno tenuto banco questa settimana. Il primo riguarda il trattamento riservato ai 629 migranti imbarcati sull’Aquarius, la nave della Ong Sos Mediterranee sulla quale viaggiavano anche 123 minori, 11 bambini e 7 donne incinte. La chiusura dei porti italiani è stata l’ennesima azione di propaganda elettorale del Ministro degli Interni, strumentalmente utile per promettere agli italiani che tutto cambierà, in barba alla violazione del diritto internazionale e dei trattati europei, sottoscritti proprio dall’ultimo governo di centrodestra. Il secondo, invece, è rappresentato dall’indulgenza riservata all’imprenditore Luca Parnasi, finanziatore della politica e in particolare della Lega, finito in carcere per la vicenda dello Stadio della Roma e descritto da Salvini come una brava persona. Per Salvini, infatti, il problema non sarebbero i corrotti e le mazzette, ma il codice sugli appalti che invece di semplificare complica. In sostanza per il leader della Lega il proliferare di leggi e codici in Italia aiuterebbe chi vuole fregare il prossimo. La politica populista di Salvini è semplice. Forte con i deboli, debole con i forti. I migranti possono restare in mare, le Ong che salvano vite umane sono da condannare, mentre gli imprenditori arrestati per corruzione sarebbero delle vittime del sistema, soprattutto se hanno contribuito alla salita al potere della Lega e del M5S (clicca qui). Nemmeno una parola sulla questione reale, ovvero l’abolizione del finanziamento pubblico dei partiti, che ha reso la politica troppo vulnerabile alle infiltrazioni degli interessi privati. Senza finanziamento pubblico, la politica rischia di diventare un affare per i pochi che se la possono permettere. Nei prossimi mesi dovremo essere in grado di spiegare ai cittadini le ragioni per le quali sia meglio che siano loro a finanziarla, invece di lasciarla nelle mani di imprenditori e lobby finanziarie.
I populisti della Lega e del M5S sono così. Prendiamo ad esempio Armando Siri, 46 anni, eletto al Senato e ideologo della Flat Tax, un provvedimento iniquo che intende scardinare il sistema della fiscalità progressiva, fondamento costituitvo ed essenziale del modello sociale europeo, basato sul welfare pubblico e universale. Siri ha patteggiato una pena per bancarotta fraudolenta in seguito al crack di “MediaItalia“, società da lui presieduta e indebitata per oltre un milione di euro. Nelle motivazioni della sentenza, i magistrati spiegano come, prima del crack, Siri e soci abbiano svuotato l’azienda, trasferendo il patrimonio ad un’altra impresa la cui sede legale venne spostata nel paradiso fiscale statunitense del Delaware. La flat tax è una truffa, perchè vuole far pagare meno a chi guadagna di più. Questa riduzione del gettito fiscale andrebbe tutta a svantaggio di chi ha più bisogno di servizi ed assistenza e non si trova nelle condizioni economiche di potersi servire del sistema privato. La Flat Tax è una misura che non ha nulla a che vedere con la necessaria e non più procrastinabile riduzione delle tasse, ma serve soltanto ad aiutare i più ricchi e a scavare maggiori distanze sociali ed economiche.
Purtroppo i populisi sono proprio così. Basti pensare all’ex capogruppo del M5S in consiglio comunale Paolo Ferrara, castigatore fino ai giorni scorsi di avversari politici in giro per il Paese, nonostante fosse già stato beccato ad utilizzare impropriamente l’auto blu, destinata alla Sindaca e agli assessori del Campidoglio. Ferrara purtroppo è incappato in un avviso di garanzia per la vicenda dello Stadio della Roma e di conseguenza si è dovuto auto sospendere da capogruppo. Un limpido esempio della legge del contrappasso, che ha colpito l’uomo che più di tutti ha voluto l’espulsione dal gruppo grillino della battagliera consigliera comunale Cristina Grancio, da sempre contraria allo Stadio, tanto da pagare il prezzo dell’isolamento e dell’ingiuria. Chi di Stadio ferisce, di Stadio perisce verrebbe da dire. Voglio dirlo chiaramente e senza tentennamenti giustizialisti. Come democratico esprimo assoluta fiducia nell’operato della magistratura che sta indagando sulle variazioni intervenute sul progetto dello Stadio della Roma. Per quanto riguarda le presunte responsabilità penali, come Partito Democratico abbiamo sempre sostenuto come nessuno sia colpevole fino alla sentenza definitiva. Sul piano politico, tuttavia, esistono delle responsabilità oggettive che vanno sicuramente imputate alle scelte adottate dall’amministrazione di Virginia Raggi.
Come Partito Democratico abbiamo sempre sostenuto con forza il progetto dello stadio, elaborato dall’amministrazione guidata da Ignazio Marino e Giovanni Caudo. Con la stessa forza ci siamo da subito e sempre opposti al piano di modifica del progetto iniziale ed in particolare al taglio delle opere pubbliche d’interesse generale. Lo ha fatto chiaramente il gruppo democratico capitolino, esprimendo la propria contrarietà in commissione urbanistica per voce del capogruppo Giulio Pelonzi (clicca qui) e votando contro la delibera presentata dalla Raggi in Aula Giulio Cesare. Inoltre abbiamo espresso dubbi e perplessità, attraverso un’interrogazione scritta, in merito al ruolo di Luca Lanzalone, ex consulente del M5S incaricato proprio di seguire l’iter delle modifiche del progetto ed ora finito in carcere. In questi giorni il vicepremier Luigi Di Mario ha apertamente dichiarato, durante un’intervista a radio Rtl, come l’affidamento della presidenza di Acea al Lanzalone fosse un premio per aver gestito per conto del M5S la pratica dello Stadio. Di Maio ha persino confermato di aver preso parte alla nomina di Lanzalone in Acea, utilizzando il plurale. Cosa c’entrava all’epoca il vicepresidente della Camera con la nomina della più grande municipalizzata del Comune di Roma? Condivido quanto scritto da Matteo Renzi sulla sua ultima enews: con la modifica del progetto per lo Stadio sono diminuite le opere pubbliche e sono aumentate le consulenze. La questione dello Stadio nasconde in realtà un sistema di relazioni fra imprenditoria e politica molto più complesso e articolato. Bene ha fatto il gruppo parlamentare democratico a chiedere al Ministro della giustizia Alfonso Bonafede di relazionare sui suoi rapporti con l’avvocato Lanzalone, che passava le cene a fare accordi con la Lega o a discutere di nomine con Casaleggio. Giusta anche la richiesta proveniente dalle forze di centrosinistra in Campidoglio per la convocazione urgente di un consiglio comunale straordinario sullo Stadio.
Sembra davvero ingeneroso scaricare sempre tutto su Virginia Raggi, che ha ormai dimostrato a tutto il Paese la propria incapacità nel governare Roma. La Sindaca è diventata una caricatura di se stessa. Una donna che si ricorda di essere tale, soltanto quando deve usare il genere per difendersi, ma che non ci ha pensato due volte a sfrattare dalla propria sede storica la Casa Internazionale delle Donne. Una Sindaca che scarica la responsabilità dei propri fallimenti sugli altri, ma che non riesce a spiegare ai romani chi le abbia imposto e per quali ragioni collaboratori come Marra e Lanzalone, finiti in carcere dopo pochi mesi. Ci vorrebbe una formula matematica per calcolare statisticamente quanto tempo ci metta mediamente un grillino ad avere guai con la giustizia, in confronto ai politici degli altri partiti. Potremmo scoprire come i grillini siano proprio gli ultimi a poter usare con tanta leggerezza la parola onestà.
Quello che trovo davvero scandaloso è che tra inchieste per corruzione, incapacità di amministrare la città, disastri e figuracce, l’unica iniziativa che l’Amministrazione Raggi sia riuscita a realizzare sia stata quella di intitolare una via a Giorgio Almirante, che in tutta la sua vita non prese mai le distanze dalla difesa della razza. Qualcuno proverà a difendere la Raggi anche su questo, affermando che la Sindaca non sapesse chi fosse “questo personaggio“, vista anche la sua reazione ridicola nel salotto di Bruno Vespa. La realtà è che la Raggi non sembra assolutamente in grado di svolgere il compito di Sindaco di Roma. Un politico normale avrebbe già immaginato di dimettersi. Le dimissioni, tuttavia, sono sempre un atto di grande coraggio. Una qualità che la Raggi non ha mai dimostrato di avere. La Sindaca non dovrebbe dimettersi per le inchieste che hanno coinvolto lei e molte delle persone che ha scelto direttamente, ma perché dopo due anni Roma è una città allo sbando, persa nel degrado e con nessuna prospettiva per il futuro.
I romani sono stanchi e stanno comprendendo sulla propria pelle come la promessa di cambiamento sia stata tradita. Per manifesta incapacità nell’amministrare la capitale la Raggi dovrebbe dimettersi. Non lo farà, si arroccherà ancora di più in Campidoglio e starà alle forze migliori della città usare questo tempo di cattiva amministrazione, per preparare il vero cambiamento di cui Roma ha assoluto bisogno. Possiamo continuare a farlo votando domenica 24 giugno per Giovanni Caudo a Presidente del III municipio di Roma. Lo faremo alzando il livello dello scontro in Campidoglio e cercando di costruire un fronte di forze capace di sfiduciare politicamente la Sindaca. Il rinnovamento che serve a Roma dovrà fare perno sulla capacità di amministrare. Perchè senza preparazione e merito, il valore dell’onestà rimane privo di significato.
p.s. la scorsa settimana sono stato ad una bella iniziativa al circolo democratico di Parioli. Proprio qui ho avuto l’opportunità di parlare del Partito Democratico di Roma che stiamo ricostruendo e che si basa su un’idea di comunità unita e coesa che lavora per migliorare la città che amiamo. Mentre parlavo pensavo all’esempio di quelle persone che ho conosciuto in questi anni e che con le loro azioni e parole hanno contribuito a salvaguardarla questa comunità. Uno di questi è senza dubbio il compagno Agostino Ottavi, che ci ha lasciato venerdì e che con tanti amici siamo andati a salutare per l’ultima volta nella sua Bevagna. In questi ultimi vent’anni della mia vita politica non c’è stato un solo momento legato alla Federazione del Partito di Roma o alle scadenze elettorali in cui la presenza di Agostino sia mancata. Ci sono uomini che magari non sono destinati a vivere una stagione da leader o tanti anni da protagonisti della scena politica, ma che incarnano il senso profondo di una comunità di persone. Sono quelli la cui assenza sfalda una comunità e la cui presenza la rinsalda. Agostino ha rappresentato un simbolo della nostra federazione, un esempio per la mia generazione. Un uomo umile, preparato, accogliente, garbato. Indispensabile per la comunità democratica. Un amico per tutti quelli che lo hanno conosciuto. Mi mancherai.