Provate a cercare “idiot” nella ricerca delle immagini di google. I primi risultati che vi appariranno saranno numerose fotografie di Donald Trump. E’ l’incredibile forma di protesta messa in atto dai contestatori britannici del Presidente degli Stati Uniti, che sono riusciti a dimostrare concretamente come sia possibile ingannare l’algoritmo del motore di ricerca più famoso del mondo, per utilizzarlo a favore dei propri scopi. Usando la tattica del google bombing (il bombardamento di google), il gruppo organizzato di contestatori è riuscito a condizionare l’algoritmo del motore di ricerca, nonostante gli sforzi del colosso di Mountain View per impedirlo. La questione potrebbe strappare un sorriso ai detrattori del tycon statunitense, pur tuttavia costringendoci ad una seria riflessione sul controllo delle informazioni in rete. Qualche anno fa il celebre motto di Google esortava le persone a non essere malvagie (Don’t be evil), nel tentativo di spronarle ad usare la parte migliore di se stesse.
A distanza di anni, google è diventato un gigante finanziario, imponendosi come il sito più visitato al mondo. Il suo scopo è occuparsi di catalogare ed indicizzare le risorse del web relativamente a notizie, foto, mappe, mail, traduzioni, video e naturalmente shopping. La questione è che l’algoritmo di Google si basa su un principio molto semplice, mutuato dalla teoria delle reti, ovvero che le pagine citate con un maggior numero di link siano anche quelle più importanti e meritevoli di apparire in cima alle nostre ricerche. Il principio potrebbe essere giusto in astratto, se non si tenesse in conto la possibilità di manipolazione. Soltanto un anno fa, infatti, la Commissione Europea ha sanzionato Google con una maximulta da 2,4 miliardi di euro, la più salata mai imposta ad una azienda tecnologica, per l’accusa di aver manipolato le ricerche effettuate sul motore di ricerca al fine di avvantaggiare il servizio di shopping online. Ormai gli algoritmi rappresentano il pilastro dell’economia basata sui dati, quella che tende a capitalizzare le informazioni degli utenti-cittadini, al fine di fornire servizi e prodotti agli utenti stessi, per ottenerne un profitto. Di conseguenza l’utilizzo improprio degli algoritmi a vantaggio di una certa causa, può determinare la manipolazione delle opinioni, delle abitudini, dei consumi e persino delle scelte delle persone. Gli algoritmi influiscono sulle nostre scelte quotidiane molto di più delle persone con cui parliamo.
Di conseguenza anche la politica non fa eccezione. I social sono stati usati, soprattutto negli ultimi anni, per costruire un consenso della rabbia, grazie alla costante manipolazione delle informazioni. Oggi è sempre meno importante che una notizia sia vera o falsa, quello che conta è che abbia raggiunto sufficienti link e like per poter apparire sui nostri profili. Una volta avviato il processo di imbarbarimento dell’informazione, questo rischia di non essere più reversibile, tanto che a farne le spese sono gli stessi che lo hanno usato per conquistare consenso. Primi fra tutti gli esponenti del M5S, che dell’uso degli algoritmi in politica sono i pionieri.
Luigi Di Maio vicepremier si è riscoperto sempre più garantista. E’ una buona notizia per l’Italia e la politica, che smaschera definitivamente la finta morale dei grillini. Soltanto un paio d’anni fa giggino avrebbe chiesto le dimissioni immediate per chiunque fosse stato raggiunto da un avviso di garanzia. Un’usanza barbara, messa per la priva volta in crisi dal processo alla Sindaca di Roma Virginia Raggi e dalle indagini che coinvolgono il ministro per gli Affari europei Paolo Savona, indagato per usura bancaria insieme ai vertici di Unicredit. Per Di Maio quella appena trascorsa è stata una settimana difficile, complice la contestata assunzione della 26enne di Pomigliano d’Arco Assia Montanino, scelta alla guida della sua segreteria al Ministero.
Su questa vicenda, peraltro, le critiche sono state eccessive e ingenerose, poichè è assolutamente legittimo che per la scelta degli incarichi fiduciari degli staff politici si possano privilegiare, oltre alle competenze, anche i rapporti di stima e appunto fiducia. La questione non è di legittimità, ovviamente, ma di reciprocità. Di Maio è vittima della legge del contrappasso. Così come nell’inferno di Dante, Bertran de Born, colpevole di aver seminato discordia dividendo un padre dal figlio, paga la propria pena con il proprio corpo diviso in due parti, allo stesso modo Di Maio sconta l’aver raggiunto il potere, lucrando sulla strumentalizzazione delle calunnie altrui. Ieri il leader grillino era martello, oggi incudine. Il problema non sono certo i giornali o i giornalisti, ma il clima da inquisizione creato ad arte dal M5S per conquistare il potere, che individua nella politica l’origine di tutti i mali. Ed oggi che il M5S è al governo subisce lo stesso trattamento a cui erano sottoposti gli altri.
La politica è invece una passione bellissima, che riesce a muovere l’animo delle persone, molto spesso senza che ci sia un tornaconto personale. Quando penso alla buona politica, mi vengono subito in mente i volontari delle sezioni democratiche e delle Feste dell’Unità. Centinaia di persone che si mettono a disposizione degli altri per consentire una discussione seria sui problemi da risolvere. Quest’anno Tutta un’Altra Roma, il Festival dell’Unità di Roma 2018 si svolge dal 22 luglio al 5 agosto presso l’ex dogana di via dello Scalo di San Lorenzo 10. Il programma politico della Festa, iniziata ieri sera, si può trovare sul sito del Partito Democratico di Roma (clicca qui). Al contrario, quando immagino la cattiva politica, penso a chi la usa come ascensore sociale o peggio per cambiare lavoro.
Sono rimasto molto colpito dall’atteggiamento di Pietro Grasso, candidato premier di Leu alle ultimi politiche. Lui, come tanti altri, non ha rispettato lo Statuto del Partito Democratico quando si è candidato nella scorsa legislatura. Se ne è andato per non pagare la quota destinata al partito che viene utilizzata, fra le altre pendenze, per saldare i dipendenti in cassa integrazione. Senza il finanziamento pubblico, i partiti possono sostenersi con il tesseramento e il contributo degli eletti. Per questa ragione bene ha fatto il tesoriere nazionale a rivolgersi al tribunale di Roma, che ha emesso un decreto ingiuntivo nei riguardi dell’ex Presidente del Senato, moroso per 83.250 euro. Ora si proceda anche nel recuperare quanto devono al Partito Democratico di Roma quelli che sono usciti dal Pd per non pagare gli emolumenti quando erano Presidenti di municipio, assessori e consiglieri. A chi cerca di difendere Grasso e gli altri, affermando che bisognerà aspettare i processi per sapere come andrà a finire, non si può che rispondere come sull’etica della politica, fortunatamente, non ci sia bisogno che decidano i giudici. Semplicemente perchè in una comunità le regole condivise valgono per tutti e vanno rispettate. Sempre.