Le amministrative non sono andate bene. Quando non si vince bisogna dirlo chiaramente, così da essere sempre credibili, sopratutto quando invece i risultati sono positivi. Tuttavia i dati di queste elezioni sono utili per sondare le ragioni di questo arretramento in molti comuni d’Italia, evitando di individuare nel segretario del Pd Matteo Renzi un fin troppo banale capro espiatorio. I dati del ballottaggio ci consegnano 42 sindaci assegnati al centrosinistra e 24 al centrodestra. Considerando il risultato del primo turno, quindi, sono stati eletti 67 sindaci di centrosinistra contro i 59 del centrodestra. Il primo elemento di verità, quindi, è che il Partito Democratico rimane la forza principale del nostro Paese e continua a guidare la maggioranza dei comuni in ballo in questa tornata. Tuttavia a far male è la variazione rispetto al passato: erano infatti 93 quelli che amministravamo prima delle elezioni, ne abbiamo quindi persi 26. Non è la fine del mondo, ma è certamente una sconfitta politica, resa ancora più cocente dalla perdita di roccaforti storiche quali Genova e Pistoia.
Il voto ci restituisce anche un centrodestra in crescita, che sta recuperando il proprio elettorato, affidato in prestito per una breve stagione politica al M5S. Beppe Grillo e i suoi stanno fallendo sopratutto nelle grandi città (Roma e Torino), ragione per cui l’elettorato di destra torna a casa con la coda fra le gambe, facendo esultare Renato Brunetta. Bisogna saper cogliere quanto accaduto e individuare anche alcune delle ragioni che sono alla base di questi risultati. La prima è che con la legge elettorale a doppio turno il Partito Democratico va ormai in sofferenza, perché gli elettori di centrodestra e del M5S tendono a votare con più facilità i rispettivi candidati, le cui posizioni su temi chiavi quali l’immigrazione, lo ius soli e i diritti civili si assomigliano molto. La novità, semmai, è che in un sistema tripolare di questo tipo, il ballottaggio sfavorisce i democratici, anche quando ci si presenta in grandi coalizioni. Da questo semplice assunto ne deriva che la soluzione al problema non è l’alchemico ritorno all’Unione o all’Ulivo. Quello rimane il sogno di chi spera di fermare il riformismo per riportarci nelle pastoie dei veti incrociati, dove i singoli parlamentari possiedono il potere di vita e di morte sui governi nazionali.
Ci sono altri due elementi che stanno diventando sistemici e di conseguenza preoccupanti. Il primo riguarda la qualità della classe politica. Chi amministra lo fa male e difficilmente viene riconfermato. I cittadini vogliono cambiare sempre più spesso. È il segno inequivocabile che chi amministra e governa, spesso lo fa male e senza incidere sulla qualità della vita dei cittadini. Quasi mai, poi, si fa una seria autocritica. Su questo punto la trave più grande è proprio la vicenda di Roma, dove c’è ancora chi racconta la favola che si stesse governando bene prima della caduta di Ignazio Marino. La nuova classe politica difficilmente si guarda allo specchio e recepisce i messaggi dell’elettorato. Di conseguenza i cittadini tendono sempre di più a disertare le urne. Il dato sull’astensionismo dovrebbe preoccuparci tutti, perché mette in pericolo la stessa tenuta della democrazia. Minore è il numero dei votanti, maggiore forza acquisiscono le idee estremiste e populiste. Non si va a votare perché non ci si sente adeguatamente rappresentanti. Per questo il primo problema da risolvere è quello di selezionare localmente persone credibili e di spessore.
C’è poi da aggiungere qualcosa in più sul tafazzismo di certa sinistra da salotto. Perdere fa sempre male, tuttavia vedere alcuni del tuo stesso partito gioirne per attaccare il segretario appena eletto e il governo, spiega in parte le ragioni profonde della crisi del nostro tempo. Molti dei critici ricoprono persino ruoli in Parlamento e nelle amministrazioni e fanno molto poco per costruire l’opposizione al populismo e quasi nulla per promuovere l’azione del governo. Criticano quelli che rappresentano il partito, ma si limitano a scrivere post banali sui social, invece di promuovere azioni politiche concrete attraverso i ruoli istituzionali nei quali sono stati eletti, proprio grazie al partito che non gli piace più. È un modo di fare insopportabile e disonesto intellettualmente, perché un partito che non sostiene l’azione del proprio governo e le scelte del proprio segretario non ha ragione di esistere. Per questo bisognerebbe avere coraggio e fare come quel giardiniere che per far crescere più rigogliosa la propria pianta, talvolta recide i rami secchi.
A Roma stiamo provando a farlo da settimane grazie al congresso del Partito Democratico, che ha chiuso il lungo commissariamento, resosi necessario per colpa di chi nel recente passato ha usato il Pd romano come trampolino di lancio per le proprie carriere politiche personali, lasciando i circoli senza guida e con i debiti da pagare. Un Pd che quando in Campidoglio andava di moda il consociativismo con Gianni Alemanno si voltava dall’altra parte sfilando in piazza, mentre i corrotti sfilavano i portafogli dalle tasche dei romani. Non ho alcuna nostalgia del partito delle tessere false (che all’epoca fui tra i pochi a denunciare pubblicamente) e dei congressi bulgari, che eleggevano segretari all’unanimità. Per questa ragione, in un congresso vero come quello di oggi, ho deciso di sostenere la candidatura di Andrea Casu a segretario romano del Partito Democratico e mi sono candidato insieme a tanti amici e compagni nella sua lista in appoggio “Eccoci”. Siamo a metà del percorso, oggi e domani si terranno la metà dei congressi municipali che rimangono e quelli aziendali.
Ad oggi Andra Casu è al 59,67% dei consensi, seguito da Andrea Santoro al 23,24%, Valeria Baglio all’11% e Livio Ricciardelli al 6,19%. Mercoledì e giovedì scorso si è tenuto il congresso del III municipio. Sono state due bellissime giornate di politica. L’affluenza dei votanti è stata del 65%. Andrea Casu ha ottenuto il 57,98% dei voti, grazie ai risultati conseguiti nei circoli Nuovo Salario (140 voti), Talenti (91) e Montesacro (38). Andrea Santoro si è fermato al 31,82%, grazie al sostegno degli iscritti di Montesacro, mentre Livio Ricciardelli e Valeria Baglio hanno ottenuto rispettivamente il 7,7% e il 2,5%. Si è poi anche votato per le liste municipali, grazie alle quali si è composta l’assemblea del III municipio del Partito Democratico.
La lista n. 1 con capolista Paola Ilari ha raggiunto uno straordinario successo (63,28% del voto degli iscritti), ottenendo 26 delegati sui 41 disponibili. Ha prevalso la volontà di cambiamento e la voglia di continuare a lavorare sulle cose concrete, come fatto in questi anni di commissariamento. Sono convinto che Paola saprà ricoprire il ruolo di segretaria del Pd del III municipio con onestà e responsabilità, costruendo le condizioni per una forte opposizione al M5S e alla destra. Il congresso non è finito. Nei prossimi giorni ci aspettano ancora giornate di discussione politica. Finalmente. E poi la Festa dell’Unità e tanto lavoro per rigenerare il Partito Democratico e sostenere l’opposizione al Sindaco Virginia Raggi. Il cambiamento non si raggiunge mai in una notte, in III municipio ad esempio ci sono voluti vent’anni.