Oddio è lunedì #187 – la strategia di Israele sui vaccini è la prova di quanto conti la politica

Mentre in Italia soltanto ieri ha prestato giuramento il nuovo governo guidato da Mario Draghi, nel resto del mondo è in pieno svolgimento la campagna vaccinale per contrastare il Covid 19. Stati Uniti e Cina guidano questa speciale classifica (clicca qui) rispettivamente con 50 e 40 milioni di dosi già somministrate. Segue il Regno Unito con 15 milioni e il piccolo e potente Stato di Israele, che ha già somministrato 6 milioni e 280 mila dosi dei tre vaccini disponibili Pfizer, Moderna e AstraZeneca. Con 8 milioni e mezzo di abitanti, Israele ha già vaccinato con la seconda dose, oltre 2 milioni e mezzo di persone, corrispondenti al 28,39% dell’intera popolazione. L’Italia ad oggi ha somministrato 3 milioni di dosi di vaccino ad 1 milione e 200 mila cittadini, pari soltanto al 2,12% della popolazione totale (siamo circa 60 milioni). Questa disparità di risultati non è legata soltanto alla differenza numerica fra le diverse popolazioni, ma anche alla disponibilità immediata delle dosi di vaccino, alla capacità organizzativa nel somministrarlo e soprattutto al diverso potere decisionale ed economico nell’accaparrarselo prima degli altri. 

Mentre il resto del mondo sta lottando per procurarsi le preziose fiale tra ritardi e polemiche, Israele procede a passo spedito con la campagna vaccinale. Secondo le stime del Financial Times non soltanto ad aprile potrebbe aver concluso le vaccinazioni, ma potrebbe persino avere un surplus di disponibilità rispetto alle sue necessità. Quello che sembra un piccolo miracolo è in realtà la conseguenza della capacità politica e decisionale messa in campo dal primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, che sulla questione ha smesso i panni del politico per indossare quelli di capo delle forze armate. Per assicurarsi da Pfizer 20 milioni di dosi del vaccino dalla sera alla mattina, il premier israeliano ha chiamato al telefono alle due di notte l’amministratore delegato della Pfizer Albert Bourla (clicca qui). Per battere la concorrenza dei Paesi europei, Israele ha pagato le dosi di vaccino tra i 30 e i 47 dollari, circa il doppio del prezzo già concordato con Europa e Stati Uniti e reso noto per errore dal segretario di stato belga ad inizio anno. Oltre a questo Israele ha pagato le dosi in anticipo, potendo Netanyahu attingere a risorse di emergenza dell’esercito ed ha garantito di condividere con Pfizer dati puntuali e aggiornati sugli effetti del vaccino nel controllo della pandemia, a patto di ricevere forniture cospicue e ininterrotte. Tutto lecito, ovviamente, il mercato è regolato da leggi ben precise e il ministro della salute israeliano ha spiegato come in assenza di questo accordo nessuna società avrebbe mai guardato ad un piccolo Stato come Israele, ma a mercati cento volte più grandi. Il risultato di questa strategia politica è che Israele sta vaccinando la propria popolazione ad un ritmo 10 volte superiore a quello degli Stati Uniti. D’altronde raggiungere una sorta di immunità di gregge prima degli altri, significa tornare per primi alla normalità e di conseguenza ricominciare a crescere e a produrre. Magari vendendo in un prossimo futuro le dosi in eccesso ad altri Paesi. 

La campagna vaccinale israeliana si chiama “Back to life”. Ci si vaccina in ospedale e nei centri medici ovviamente, ma anche in altre strutture civili adibite a questo scopo per l’occasione. Sono stati aperti dei drive in, nei quali si riceve la propria dose di vaccino senza neanche scendere dalla macchina. Vengono vaccinati tutti, anche coloro che accompagnano gli anziani e i disabili. Mentre in Israele si procede a tutta velocità grazie alle scelte della politica, nel resto del mondo si arranca e in Italia, beh in Italia, per settimane si è parlato d’altro. Giornate intere di tribune politiche per ascoltare chi a parole afferma di aver salvato il Paese aprendo la crisi politica e chi con i fatti sarà chiamato a farlo fin da oggi. Tuttavia anche se per qualche settimana siamo stati costretti a parlare di altro, vale la pena di ricordare come le minacce del Covid e della crisi sociale ed economica derivante, rimangono ancora la sfida globale del nostro tempo. 

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