Quel 6 gennaio del 2021 in cui gli Stati Uniti rischiarono la guerra civile. Potrebbe essere questo, un giorno non troppo lontano, il titolo di un articolo sull’esito delle elezioni americane del 2020. Mercoledì 6 gennaio, infatti, sarà una giornata campale per gli Stati Uniti e per la democrazia americana. Sarà la giornata nella quale si ratificherà ufficialmente il voto delle elezioni presidenziali. La Costituzione americana assegna al presidente del Senato il ruolo puramente formale di leggere ad alta voce il risultato elettorale nei singoli Stati e di proclamare il vincitore, vale a dire il democratico Joe Biden. A svolgere questo ruolo ci sarà il vicepresidente Mike Pence, che però ha già fatto sapere che non lo farà e insieme ad un’altra dozzina di senatori trumpiani contesteranno la regolarità delle procedure di voto nei territori risultati decisivi come Pennsylvania, Michigan, Arizona, Georgia, Wisconsin. Nel frattempo sulla National Mall di Washington dovrebbero esserci le sedicenti milizie armate dei Proud Boys, un’organizzazione di estrema destra e neofascista per soli uomini, che promuove e si impegna nella violenza politica negli Stati Uniti e in Canada. Insieme con loro potrebbero esserci i complottisti del QAnon, di cui ho già parlato qui. Trump e i suoi accoliti vogliono avvolgere nel caos la giornata del 6 gennaio.
L’ex presidente degli Stati Uniti, ormai allo sbando, sembra essersi trasformato nel personaggio di Bane, il rivoluzionario cattivo con il respiratore del film di Christopher Nolan il Cavaliere Oscuro. Soprattutto dopo la pubblicazione da parte del Washington Post dell’incredibile telefonata fra il Presidente degli Stati Uniti e il segretario di Stato della Georgia Brad Raffensperger, nella quale in sostanza Trump gli chiedeva di trovare il modo per ribaltare il risultato elettorale del 3 novembre, quando Joe Biden la spuntò per circa 11 mila e ottocento voti. Nella lunga telefonata durata circa un’ora ci sono richieste e forti pressioni da parte di Trump per trovare voti e denunciare irregolarità. Tuttavia il segretario della Georgia, per giunta repubblicano tiene il punto e ripete: “No signor Presidente non ci sono state irregolarità“, respingendo al contempo la richiesta surreale di “trovare” i voti mancanti.
Il piano di Trump funzionerà? La democrazia americana sembra tenere. Le cause su presunti brogli e fantasiosi complotti sono state tutte respinte. I principali media stanno facendo un corretto lavoro d’informazione, dimostrando come a tentare di falsare le elezioni a posteriori sembri essere stato proprio lo sconfitto. I social network sono ormai costretti a pubblicare costantemente sui post dell’ormai quasi ex Presidente le fascette con le quali si avvertono i lettori che le dichiarazioni espresse non sono supportate da fatti oggettivi. Per quanto riguarda la battaglia del 6 gennaio, alla Camera i democratici hanno i numeri per respingere qualsiasi proposta di rinvio della proclamazione del neo Presidente, mentre al Senato, la gran parte dei repubblicani non seguirà la falange trumpiana. Il leader dei conservatori Mitch McConnell infatti ha già riconosciuto la vittoria di Biden e questo dovrebbe essere garanzia della tenuta del sistema democratico e parlamentare. Tuttavia il piano di Trump potrebbe a quel punto spostarsi nelle strade. Fino ad ora le manifestazioni a sostegno del Presidente sono state pacifiche, ma cosa potrebbe succedere qualora Trump dovesse definire i repubblicani dei traditori in combutta con i democratici? Sarà una lunga e pericolosa giornata fuori e dentro Capitol Hill. Una di quelle giornate destinate a finire nei libri di storia. Anche se sono convinto che anche questa volta la democrazia americana sarà in grado di difendersi da chi vuole oscurarla e che un domani si potrà scrivere: quel 6 gennaio 2021 in cui gli Stati Uniti difesero la democrazia.