Oddio è lunedì #228 – domande senza ancora una risposta

C’è una domanda che mi sono sempre posto da ragazzo quando ho cominciato a studiare i genocidi del novecento. Come fu possibile? In che modo milioni di persone vennero sterminate mentre altre centinaia di milioni non facevamo nulla per impedirlo? Era probabilmente una domanda ingenua, alla quale mi rispondevo come probabilmente all’epoca non ci fosse la consapevolezza di quanto stesse accadendo, visto che le informazioni viaggiavano su mezzi di comunicazione meno rapidi di quelli che abbiamo a disposizione oggi. Altrimenti, mi dicevo, ognuno avrebbe fatto di più per evitare un massacro. Tuttavia quella domanda mi sono ritrovato a farmela oggi, a distanza di otto mesi dall’avvio del conflitto cominciato in Ucraina. Come riusciamo noi a rimanere inerti dinnanzi all’assassinio di migliaia di persone innocenti? Come riusciamo a continuare a vivere quotidianamente le nostre vite come se non stesse accadendo nulla a meno di duemila chilometri di distanza da noi? È una domanda che in verità mi ero posto anche durante la guerra in Bosnia-Erzegovina. Anche in quella circostanza, proprio come oggi fa Papa Francesco, l’allora segretario generale dell’Onu Kofi Annan scriveva nel suo rapporto annuale come venisse “condotta una guerra mondiale nascosta, poiché vi erano implicate direttamente o indirettamente tutte le forze mondiali”. Eravamo sul finire degli anni novanta, appena prima della stagione della guerra al terrorismo islamista cominciata nel settembre del 2001 con l’abbattimento delle torri gemelle e continuata per oltre quindici anni.

Mentre provavo a rimettere in fila la storia dei nostri ultimi 50 anni per scrivere questo breve articolo, mi sono trovato a farmi l’ultima delle domande di questo lunedì di riflessione un po’ negativo. Abbiamo davvero vissuto cinquant’anni di pace? Oppure più semplicemente abbiamo vissuto in uno stato di guerra permanente che tuttavia essendosi combattuta in teatri di guerra distanti dalle nostre città e dalle nostre vite quotidiane, ci ha convinti di essere immuni alla violenza, alla distruzione e alla morte che provocano le bombe? Ecco ho paura che la verità possa essere in questa ultima domanda. Una domanda che a me terrorizza, perché mi induce a pensare che il nostro immobilismo possa dipendere dalla paura che la cupola di vetro che abbiamo eretto sopra le nostre teste e che ci divide dal resto del mondo in guerra possa rompersi da un momento all’altro. Credo possa essere la paura di perdere improvvisamente la nostra presunta certezza di aver costruito un modo di pace e di crescita infinita a renderci inermi e immobili dinnanzi al precipizio. Mi si potrà rispondere ma cosa possiamo fare noi? È una domanda legittima alla quale non sono in grado di dare una risposta. Anche se ho la sensazione profonda che quello che stiamo facendo non sia abbastanza.

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