Sono settimane che non scrivo. O, meglio, che mi costringo a non farlo, sperando che un barlume di buonsenso potesse prevalere. Che ci si potesse fermare prima di oltrepassare il punto di non ritorno. Invece, stanotte è accaduto l’impensabile. E il rischio che si inneschi un effetto domino tragico è più reale che mai.
Proprio oggi, nell’anniversario dell’invasione nazista dell’Unione Sovietica, gli Stati Uniti hanno bombardato l’Iran, entrando di fatto in guerra al fianco di Israele, che nel frattempo continua impunemente a macellare donne, bambini e civili a Gaza. Come ha scritto il professor Bazzoffia, stanotte abbiamo perso. Abbiamo perso il senso della misura, la memoria storica, la paura per certe parole, la vergogna per certe idee.
L’America di Donald Trump ha stabilito un principio devastante: ogni crimine, ogni decisione anche al di fuori del diritto internazionale, ogni bombardamento – chiunque ne sia la vittima – può essere giustificato, purché in nome della difesa di Israele. Anche se questo significa trascinare una nazione in guerra senza passare dal Congresso, come ha denunciato l’unico democratico ancora in grado di farsi sentire, Bernie Sanders. Una posizione condivisa anche dal deputato repubblicano del Kentucky Thomas Massie, che aveva già avvertito: dichiarare guerra è competenza del Congresso, non del Presidente.
Stanotte è stato sancito anche un altro principio: gli organismi internazionali non contano più nulla. Le condanne dell’ONU sono diventate parole vuote. Le dichiarazioni dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica – che ha ribadito di non avere prove che l’Iran stia sviluppando un’arma nucleare – sono carta straccia.
Ma soprattutto, è stata tracciata una linea di confine che interpella ciascuno di noi. Al di là della legittima paura per un’escalation che può travolgere anche l’Europa, è tempo di scegliere. Vogliamo davvero ridurci a tifare per una delle due parti – Stati Uniti e Israele da un lato, Russia e Iran dall’altro – come se fosse una partita? Come se avesse senso, nella Storia, scegliere tra Stalin e Hitler?
Oppure vogliamo alzarci in piedi, scendere in piazza, far sentire ai nostri governi che l’Occidente – quello democratico, giusto, umano – non si riconosce più né nel fanatismo teocratico né nella guerra preventiva? Che l’Europa, se ha un senso, deve ritrovare la voce, la dignità e il coraggio di chi ha conosciuto la guerra mondiale e ha promesso che non sarebbe mai più accaduto?
Leggo che, dopo aver bombardato, ora si cercano spiragli di trattativa. È chiaro il motivo: l’Iran non è un Paese che si può invadere. È troppo vasto, troppo complesso, e il suo popolo troppo fiero. Lo sanno benissimo anche gli Stati Uniti e Israele. E sanno che questa guerra – già iniziata da anni in forme frammentate, come ci ha ricordato più volte Papa Francesco – sarà lunga, logorante e pericolosa.
Ma la conseguenza più grave, oltre al terribile prezzo di vite umane, è un’altra: stanotte è stato definitivamente delegittimato il diritto internazionale. È stato ferito a morte il fragile equilibrio delle democrazie. Israele da tempo si comporta come se non ne facesse più parte. E gli Stati Uniti, oggi, sembrano seguirla su quella stessa strada, tra arresti arbitrari, repressione del dissenso e attacchi alla democrazia interna.
Siamo all’ultima chiamata. E tocca a noi europei ricordare la lezione più importante: che tutto questo è già successo. Che può succedere ancora. Anzi, sta succedendo. Davanti ai nostri occhi. Ora.