Oddio è lunedì #15

veltroni-pdUna verita profonda emerge titanica dal dibattito di ieri all’assemblea nazionale del Partito Democratico. Una verità, che nel nome dell’unità del Partito Democratico, in questi anni abbiamo scelto di non vedere e che spiega inequivocabilmentre le ragioni dello scontro lacerante di questi ultimi mesi. E’ la verità sull’epilogo della segreteria di Walter Veltroni, primo segretario del Partito Democratico del Lingotto, sacrificato all’epoca sull’altare dell’unità ad ogni costo, per consentire ad altri di assumere la leadership del più grande partito riformista italiano. Non è un caso, quindi, che l’intervento più convincente di ieri a sostegno dell’unità del Partito Democratico sia venuto proprio dal suo fondatore. Walter veltroni è tornato a parlare a modo suo. Da statista che prima di guardare alla polemica del giorno, inquadra il problema con il grandangolo della storia. Quando la sinistra si è divisa ha fatto del male a se stessa e al Paese. Come scrive correttamente stamattina Aldo Cazzullo sul Corriere della Sera, nel momento di massimo malcontento popolare, alle forze anti sistema viene perdonato tutto, a quelle tradizionali nulla. Lo sanno bene i democratici americani che si sono dovuti difendere per tutta la campagna elettorale dalle mail di Hillary Clinton, mentre Donald Trump poteva scrivere qualsivoglia volgarità ed ostentare il proprio maschilismo e disprezzo per le Istituzioni. Lo stesso vale per la destra di Marine Le Pen in Francia, a cui nessuno rinfaccia il denaro pubblico versato al fidanzato o alla nostra Sindaca di Roma Virginia Raggi, alla quale vengono costantemente perdonati gli errori sulle scelte dei propri collaboratori o la sua incapacità nel governare la capitale.

messi-in-tribunaMatteo Renzi ha fatto bene a dimettersi da segretario per consenire la convocazione del congresso. Allo stesso modo ritengo assolutamente giusto che Renzi possa ricandidarsi alla guida del Partito Democratico, poichè sarebbe inaccettabile commettere lo stesso errore fatto dieci anni fa con Walter Veltroni. Esiste il diritto a sconfiggere la linea di un segretario in un congresso, ma non si può avere il diritto di eliminare un leader che ha ottenuto milioni di voti. Sinceramente mi auguro sia un congresso con più opzioni politiche. Da Andrea Orlando a Nicola Zingaretti fino all’attuale minoranza democratica, che fino all’ultimo vorrei vedersi battere dentro al partito per far prevalere le proprie idee fra i cittadini. Ad un certo punto, ieri, ho avuto l’impressione di aver assistito ad un momento abbastanza surreale. Sono di parte, lo ammetto. Tuttavia l’intervento di Walter Veltroni è stato senza dubbio quello di maggior spessore. Di quelli che possono cambiare il verso di una stagione politica. Sta proprio qui il problema attuale del Pd. Se hai persone come Walter Veltroni in tribuna è un pò come se il Barcellona non facesse giocare Messi o il Real Madrid tenesse in panchina Cristiano Ronaldo. E’ un ragionamento che può valere per molti altri esponenti politici non più giovanissimi anagraficamente, ma sta qui la maturità di un gruppo dirigente. Saper scegliere la classe politica di cui il Paese ha più bisogno.

nanni-morettiMi sembra questo il punto. C’è chi preferisce essere sempre il padrone di un monolocale, piuttosto che l’affittuario nel condominio di un altro. Sono quei politici, già apostrofati in passato da Nanni Moretti, che spesso si dimenticano come il Partito Democratico non appartenga a nessuno dei leader che in questi anni ha svolto la funzione di segretario pro tempore. Il Partito Demmocratico è proprietà dei milioni di italiani che lo votano ed è rappresentato dai volti di quelle migliaia di iscritti perbene che tengono aperti e vivi i circoli territoriali, dal lavoro quotidiano degli eletti nelle amministrazioni locali e dalla passione dei militanti che raccontano le azioni del governo e che si occupano di raccogliere le istanze e i problemi dei cittadini. Per questa ragione il Partito Democratico può resistere agli addii, che sono pur sempre tristi e laceranti. Soprattutto quando c’è il rischio di perdere figure che hanno rappresentato un pezzo della nostra storia. Tuttavia è giusto ricordare come già in passato alcuni se ne siano andati. Persino uno dei padri fondatori del Pd, l’ex segretario della Margherita Francesco Rutelli, un giorno decise di prendere la porta. Più recentemente lo hanno fatto anche Pippo Civati e Stefano Fassina.

caminettiCi può stare ovviamente, ma il Pd è andato avanti per una ragione molto banale. Il progetto politico collettivo del Partito Democratico è ancora attuale e conta molto di più dei destini di qualsivoglia leader o esponente politico. Il nostro popolo è più maturo delle classi dirigenti che pro tempore dovrebbero guidarlo. E’ una certezza ormai da sempre. Questo perchè il Pd è nato, dieci anni fa, per ereditare la migliore tradizioe politica del centro sinistra italiana, con l’obiettivo di traghettarla fuori dalla palude della Prima Repubblica, favorendo la crescita di una classe politica meno ideologica e più preparata per affrontare le sfide della modernità. Sarà per questo che l’aspetto più insopportabile della possibile #scissione stia nel fatto che a minacciarla siano proprio quelli le cui ricette hanno già fallito in passato. Mi trovo particolarmente d’accordo con Paolo Mieli, che lucidamente sul Corriere della Sera di oggi scrive come quello a cui stiamo assistendo assomigli più alla fuoriuscita di un gruppo di pur rilevanti personalità che ad una scissione vera e propria. Un gruppo che sembra avere nostalgia del passato, quando pochi decidevano i destini di molti.

renzi-genti-okPer questa ragione dobbiamo guardare al futuro. Ci aspetta un congresso aperto a tutti in cui eleggeremo la guida politica con cui affronteremo le prossime elezioni politiche. Al massimo si potrà votare fra un anno da adesso, ma è persino possibile che si possa votare dopo l’estate. Siamo dunque al momento delle scelte decisive. Sono convinto che sia nostro compito presentare una proposta politica che sia in continuità con i tre anni di governo Renzi e con l’azione del governo Gentiloni. Sono state fatte molte riforme, nonostante ci si sia trovati a condividere un governo con forze politiche diverse da noi. Abbiamo ampliato i diritti sociali e civili. Siamo riusciti a non alzare la tassazione, provvedendo ad una misura seppur minima di redistribuzione del reddito. Gli ottanta euro sono questo e sono rimasti anche dopo le elezioni europee, a significare che si trattava di una misura strutturale e non certo elettorale. Sono stati fatti anche degli errori certamente, come la riforma della scuola che sarebbe dovuta essere più concertata o quella sul Job Act su cui bisogna rimettere mano. Mentre per la prima volta si è seriamente legiferato in materia di prevenzione della corruzione, con norme che il Paese attendeva da oltre 15 anni. Alle elezioni, quando hai governato per l’intera legislatura, devi presentarti con i tuoi risultati.

muro-messicoLasciamo a quelli che sono stati all’opposizione per tutto questo tempo, il compito di spiegare cosa avrebbero fatto al posto del Partito Democratico. Il vento del populismo soffia forte nel nostro Paese. C’è quello grillino, che tutti abbiamo imparato a conoscere. L’onestà applicata solo agli altri e il peggior campanilismo nella difesa dei propri membri di partito. C’è la vecchia destra razzista di Matteo Salvini e Giorgia Meloni, che chiedono le muraglie anche in mare, dopo non essere riusciti a costruire il ponte sullo stretto quando erano alleati con Silvio Berlusconi. Le loro proposte politiche sono fatte dello stesso cemento dei piloni del ponte mai realizzato. Sono fuffa e chiamano in causa le paure nei confronti del diverso da noi. Questo non vuol dire che non sia necessario agire per dare risposte ai problemi causati dalle migrazioni, al contrario serve un’azione politica forte di tutta l’Unione Europea, affinchè i costi sociali ed economici non ricadano soltanto sul nostro Paese. C’è anche una sinistra populista, quella per cui il “lavoro” e la “questione sociale” sono prioritarie. Spesso dimenticano però di spiegare cosa farebbero di concreto per creare nuovi posti di lavoro o migliorare i servizi assistenziali in un mondo in cui il posto fisso pubblico non esiste quasi più e lo statalismo è in declino. A meno che per lavoro non intendano il mantenimento di un proprio seggio in Parlamento, cosa su cui sono effettivamente davvero imbattibili.

convegno-terrorismoVenerdì come forum legalità del Partito Democratico di Roma abbiamo organizzato alla Camera dei Deputati un convengo proprio per parlare di terrorismo e immigrazione. Lo abbiamo fatto alla presenza di tanti fra giornalisti e avvocati, con un parterre di relatori molto preparati. Un lavoro di cui ringrazio molto Immacolata Giuliani. Sono emerse questioni di grande rilevanza e di quali si parla troppo poco nel dibattito pubblico. Sarebbe utile spiegare ai cittadini come la principale vittoria del terrorismo internazionale, siano le risposte di chiusura ai migranti, quali la costruzione di muri o i divieti di ingresso. Lo ha detto recentemente il sociologo Zygmunt Bauman: “per vincere, i terroristi fondamentalisti possono tranquillamente contare sulla miope collaborazione dei loro nemici“. La sospensione di alcune regole base della democrazia, il risentimento verso gli stranieri, il circolo tra propaganda politica e xenofobia, gli stati-nazione incapaci di affrontare un fenomeno epocale come le grandi migrazioni, rappresentano i primi segni di crisi del modello occidentale. Il terrorismo internazionale è ben consapevole di essere militarmente inferiore rispetto agli eserciti occidentali, tuttavia il suo obiettivo è quello di mettere in crisi il nostro modello di vita. Proprio quello che spinge i più poveri del mondo a raggiungere i nostri Paesi, nella speranza di un futuro lontano dalle guerre e dalla fame. Certamente non possiamo accogliere tutti, ma dobbiamo essere in grado di costruire le condizioni politiche e di redistribuzione della ricchezza, che possano consentire ai paesi più poveri di ricevere investimenti sui propri territori, per costruire le condizioni basilari del benessere economico. Questa è la sfida del futuro, non certo il ritorno agli Stati-Nazioni, i cui particolarismi ci hanno sempre condotto a guerre globali.

La scommessa è cambiare il paradigma dominante. L’ideologia del “fare” ad ogni costo, senza il pensiero e la riflessione sulle conseguenze delle proprie azioni, rischia di produrre più danni che vantaggi. Vale per l’Occidente, per l’Italia e per la nostra città, ostaggio di un’amministrazione che agisce, spesso senza conoscere le leggi, il funzionamento della burocrazia e senza ponderare le conseguenze delle proprie decisioni. E’ la conseguenza diretta dell’aumento della velocità nella nostra società, che ci giudica più per quante cose facciamo contemporaneamente, che per i risultati concreti che otteniamo. Proprio il contrario di quanto dovrebbe fare la buona politica, il cui obiettivo primario rimane la costruzione di un’orizzonte migliore per le future generazioni. Ognuno di noi può contribuire a costruirlo e non è mai troppo tardi per cominciare a farlo.

 

 

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