Sta succedendo qualcosa di estremamente pericoloso nel nostro Paese che rischia come già accaduto in passato di contagiare l’Europa e di cambiare il mondo in cui viviamo. C’è un filo nero che lega assieme le idee omofobe e razziste del generale Roberto Vannacci, campione di vendite con il suo libro auto prodotto, il video choc del linciaggio a Roma di un borseggiatore indiano ripreso da una signora del Quarticciolo, le minacce e le offese social contro la ragazza violentata dal branco a Palermo questa estate e lo stupro di due bambine di dieci e dodici anni ad agosto a Calviano, quartiere segnato da uno storia di droga e criminalità. Un filo nero di rabbia, violenza e frustrazione in cui, voglio dirlo subito, non c’entra il colore dell’attuale governo politico guidato da Giorgia Meloni, che semmai è il momentaneo approdo che ha dato copertura politica a quella parte di persone del nostro Paese che davvero sono convinte che il mondo vada al contrario e che determinate minoranze vengano impropriamente rappresentate come specchio della società con la conseguenza di esagerarne l’importanza rispetto alla scarsa attenzione riservata agli altri, ovvero la presunta maggioranza.
Facciamo un esempio pratico. Il generale Roberto Vannacci, autore del libro “Il mondo al contrario” in Italia vende da solo due volte il numero di copie degli altri nove libri più venduti messi insieme e su Amazon risulta essere il libro più venduto, superando persino “Accabadora” dell’appena scomparsa Michela Murgia. Significa che sono in molti a pensarla come lui e che in un libro stampato trovano conforto nel leggere nero su bianco quello che in silenzio pensano ma che, come hanno dimostrato le polemiche dell’estate, non si può dire. È il rigurgito patriarcale che prende voce e attacca a testa bassa le discriminazioni intersezionali.
I libri sono importanti come le idee che li generano. Le nostre democrazie difendono giustamente la libertà di pensiero di chiunque, ma come si difendono da quelle idee che possono infettare la società, fino al punto da mettere in discussione quella stessa libertà usata per propagandare le proprie opinioni? La risposta è semplice. Non possono farlo. Non si può vietare la vendita di un libro che perora razzismo e omofobia. Non si può chiudere un social network dove decine di persone insultano e minacciano una vittima di stupro. Non si può impedire a qualcuno di riprendere con il cellulare una violenza invece di chiamare le forze dell’ordine. Semplicemente in democrazia è molto più difficile difendersi da quello che Umberto Eco avrebbe definito il fascismo eterno, ovvero quell’insieme di caratteristiche culturali, psicologiche e comunicative del pensiero fascista, che esistono da prima della dittatura di Mussolini e che hanno continuato a esistere dopo il 25 aprile del 1945. È un fascismo che ovviamente non coincide con la nostalgia del partito mussoliniano o con il desiderio di ricostituirlo, ma con un modo di pensare e di sentire, una serie di abitudini culturali che sono ancora intorno a noi, talvolta nascosti da abiti civili. O militari come nel caso di Vannacci. Forse qualcuno potrebbe pensare che le mie preoccupazioni siano eccessive. Vale la pena ricordare, tuttavia, come meno di cento anni fa la tragedia della seconda guerra mondiale e della Shoa cominciò in un’anonima estate del 1925 quando una piccola casa editrice in Germania diede alle stampe un libro autobiografico. Era il Mein Kampf di Adolf Hitler.