Sabato 25 novembre si è celebrata la giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, istituita dalle Nazioni Unite. La giornata del 25 novembre è stata scelta per una ragione ben precisa ed è legata al massacro nel 1960 delle tre sorelle Mirabal, assassinate nella Repubblica Dominicana per la loro attività di opposizione al regime di Rafael Leónidas Trujillo, il dittatore che ha tenuto il Paese in uno stato di arretratezza e caos per oltre 30 anni. Le tre giovani donne furono sequestrate da un gruppo di agenti militari trujillisti lungo la strada che portava al carcere, dove erano detenuti i loro mariti per le attività contro il regime. Dopo essere state condotte con la forza in un luogo appartato, vennero torturate, bastonate e strangolate. I loro corpi furono ricaricati sull’auto e il veicolo venne fatto precipitare in un dirupo per simulare un incidente. Quella brutale esecuzione rappresentò la miccia in grado di scatenare la reazione popolare, sfociata l’anno seguente nell’uccisione di TruJillo e la conseguente fine della dittatura.
Anche nel nostro Paese le donne sono vittime degli uomini in maniera insopportabile. Nei primi dieci mesi del 2018 sono già stati registrati 106 femminicidi, uno ogni 72 ore secondo i dati di Eures. Dal primo gennaio al 31 ottobre 2018 i delitti contro le donne sono saliti al 37,6% del totale degli omicidi commessi nel nostro Paese, con un 79,2% di femminicidi familiari e un 70,2% di femminicidi di coppia. Nel 65% dei casi l’assassino è un italiano ben conosciuto dalla vittima. Tra il 2000 e i primi dieci mesi di quest’anno le donne uccise sono state 3.100, una media di più di tre a settimana. In quasi tre casi su quattro si è trattato di donne vittime di un parente, di un partner o di un ex. E’ la fotografia di una vergogna sociale per la quale ogni uomo perbene fa meno di quello che ogni giorno andrebbe fatto. Oggi sono stato al liceo Nomentano in III municipio dove si è tenuta l’assemblea nazionale di #nonunadimeno. C’erano tantissime donne portatrici di proposte e riflessioni per ribaltare il paradigma dominante e rendere la nostra società migliore di quella che è. Il futuro della sinistra passa soprattutto dalla capacità di voler e saper affrontare con serietà la questione della parità di genere.
Questa settimana sono stato anche alla conferenza stampa promossa dalla Casa delle Donne. Quando la politica non esiste, è assolutamente necessario ricorrere alla giustizia per veder garantiti diritti e servizi che da decenni la Casa Internazionale delle Donne eroga alla città di Roma. Per questa ragione insieme alla delegata alle politiche sociali del Partito Democratico di Roma Carla Fermariello abbiamo espresso pieno sostegno al ricorso, presentato per chiedere l’annullamento della determina con la quale il Campidoglio ha revocato la concessione per l’utilizzo della sede storica del Buon Pastore di via della Lungara. A parole la Sindaca continua a dire di voler perseguire una soluzione condivisa, tuttavia quello che conta sono gli atti amministrativi con i quali i funzionari del Comune di Roma hanno dapprima diffidato il Consorzio di associazioni al pagamento di oltre 830 mila euro di presunto debito dovuto al Campidoglio per il fitto dello storico immobile e in seguito revocato la concessione. La prima Sindaca donna di Roma vuole chiudere una struttura trentennale che non ha mai chiesto privilegi, ma anzi si è sempre detta disponibile a saldare anche il pregresso dovuto, commisurandolo ovviamente al valore del lavoro volontario e dei servizi che la Casa ha erogato ed eroga tutt’ora a Roma. Chiudere una struttura che funziona, che non ha costi per l’amministrazione e a cui sono affidate attività di peculiare rilievo sociale, non altrimenti svolte dall’amministrazione comunale, non soltano è sciocco, ma dimostra la scellerata volontà della Raggi di cancellare decenni di lotte femministe, che sin dagli anni ’70, rivendicano la libertà, l’autodeterminazione e la differenza delle donne.
Quando Matteo Renzi era al governo, si attaccava il padre Tiziano, fortunatamente completamente archiviato sulla vicenda Consip, ma soltanto al termine della campagna elettorale, quando cioè le menzogne utilizzate dalle opposizioni e messe in circolo dai media avevano già prodotto il risultato sperato dagli avversari dell’ex premier. Tiziano Renzi sta collezionando archiviazioni delle indagini e condanne in sede civile per chi lo ha diffamato, ma il tritacarne mediatico lo ha messo alla gogna, compromettendo la sua onorabilità e contribuendo fortemente alla disfatta elettorale democratica. Nessuno ha mai chiesto scusa e nessuno mai lo farà.
Al contrario adesso si riparte. Il prossimo padre famoso di cui si parlerà nei prossimi mesi è quello del Ministro del Lavoro Luigi Di Maio. Nella puntata di ieri sera delle “Iene” è andato in onda un servizio che ipotizza casi di lavoro nero nella ditta del padre del ministro del lavoro. Il tutto sembra partire dalla denuncia di Salvatore Pizzo di Pomigliano d’Arco, ex dipendente della ditta edile della famiglia di Luigi Di Maio. Pizzo denuncia di aver lavorato in nero per due anni, tra il 2009 e il 2010 e che a pagarlo fosse proprio Antonio Di Maio. Non solo. Pizzo racconta anche di un suo infortunio sul lavoro che sarebbe stato “coperto” dal padre del vicepremier. La vicenda avrà sicuramente degli strascichi guidiziari e più avanti ne sapremo di più. Tuttavia una cosa voglio dirla subito. Quando si ha difficoltà a trovare qualcosa su cui attaccare i figli, c’è un sistema che insegue le colpe dei padri. L’obiettivo è sempre lo stesso: azzoppare le carriere politiche di chi in un determinato momento assume una funzione di governo.
Lo so bene quello che state pensando. E’ giusto così, chi di padre ferisce, di padre perisce. Tuttavia la questione è troppo importante per non meritare una riflessione più seria, a tutela di chi vuole occuparsi di politica e della cosa pubblica nel nostro Paese. E’ diventato insopportabile attaccare un politico, colpendo la sua famiglia. Intendiamoci se Antonio Di Maio ha commesso un reato è giusto perseguirlo, ma la stessa attenzione il circolo mediatico deve averla per tutti quegli italiani che delinquono. Ed invece non vedo telecamere seguire i lavoratori, spesso stranieri, che su via della Bufalotta ogni mattina vengono caricati per raggiungere i vari cantieri di Roma. Non vedo le riprese delle centinaia di operai che lavorano sui ponteggi, senza rispettare le più elementari regole per la sicurezza sul lavoro. Il lavoro nero in Italia esiste da sempre e non riguarda soltanto i disoccupati, ai quali nessuno vuol mai fare un contratto di lavoro a tempo indeterminato. In Italia sono oltre 3 milioni i lavoratori in nero e “producono” 77,2 miliardi di euro di Pil irregolare all’anno, pari al 4,8% del Pil nazionale. Questa piaga sociale ed economica “sottrae” alle casse dello Stato 36,9 miliardi di euro di tasse e contributi. Tradotto vuol dire che abbiamo meno servizi, meno scuole, meno ospedali. Se questo Paese vuole provare ad affrontare seriamente la questione del lavoro, la si smetta di ipotizzare misure esclusivamente assistenziali come il reddito di cittadinanza e si investa sul costo del lavoro, sui controlli per debellare il lavoro nero, sulla possibilità di elevare il potere di acquisto dei salari e sulla sicurezza dei luoghi di lavoro.
Questa settimana il Presidente del III municipio Giovanni Caudo ha reso pubblica una relazione dell’Arpa Lazio (clicca qui) che è una bocciatura senza possibilità di smentita sul funzionamento del Tmb Salario e si conclude con un parere negativo sulla revisione dell’autorizzazione integrata ambientale dell’impianto. E’ una relazione di cui non potrà non tenere conto l’assessore regionale Massimiliano Valeriani, che soltanto qualche giorno fa si era detto preoccupato sui tempi di chiusura del Tmb dell’Ama. Più volte nella relazione si dice come i rifiuti esito del trattamento mantengano ancora alti livelli di putrescibilità e per questo siano causa dei cattivi odori. In sostanza nel Tmb Salario entrano rifiuti ed escono rifiuti. Di conseguenza i cittadini hanno sempre avuto ragione. Sono d’accordo con Caudo che ha denunciato una vera e propria emergenza ambientale da affrontare a livello nazionale. Bene ha fatto di conseguenza il presidente dem Matteo Orfini ad impegnarsi per portare la vicenda del Tmb Salario in Parlamento. Una vera e propria bomba ambientale, che per primi assieme a Maria Teresa Maccarrone abbiamo cominciato a denunciare fin dal 2011. L’unica soluzione accettabile è stata da sempre la chiusura dell’impianto. Se ci stiamo mettendo molto, è perchè alcuni hanno mentito per interessi. Chiuderemo l’impianto e poi cercheremo anche i responsabili che hanno reso la vita impossibile ai cittadini.
Sabato 1 marzo dalle ore 8 alle 21 si terranno le primarie per l’elezione del segretario del Partito Democratico del Lazio. Nelle prossime ore sapremo dove sarà possibile votare a Roma, portando con noi la tessera elettorale, un documento d’identità e due euro. In queste primarie regionali sono candidato capolista in terzo municipio nella lista “Avanti, insieme”, a sostegno di Claudio Mancini, il cui programma è una piattaforma seria da leggere (clicca qui). Insieme a me sono candidate persone serie che fanno politica con passione e che in questo ultimo anno si sono impegnate per far cadere l’amministrazione grillina e far tornare al governo del territorio il centrosinistra e il Partito Democratico. Per sostenerci basterà tracciare una X sul simbolo “Avanti, insieme“. Ovviamente il mio in bocca al lupo va anche agli altri candidati delle liste alle primarie, primi fra tutti gli amici e compagni della lista “Diritti e Partecipazione“, anche questa a sostegno di Claudio Mancini.
p.s. Peppe Di Stefano ci ha lasciati. Ho avuto il privilegio di conoscerlo dieci anni fa e ritengo il rapporto con lui e la sua splendida famiglia uno dei più importanti lasciti della mia attività politica. Peppe è stato uno di quegli uomini che avresti voluto avere come padre. Certamente per litigarci a volte, come spesso capita con gli uomini dalle personalità forti che hanno saputo costruire da soli il proprio destino, ma soprattutto per quella capacità innata di rappresentare una solida costante in una vita carica di troppa precarietà. Qualche anno fa mi era capitato di parlargli della fatica fatta per ottenere i fondi per la riqualificazione delle scuole della sua Castel Giubileo. In quell’occasione mi aveva raccontato di quando ai suoi tempi, quelli della Democrazia Cristiana e del Partito Comunista, lui aveva chiesto ai politici che proponevano privilegi in cambio di voti, semplicemente di costruire le scuole di quella borgata, che tanti come lui avevano contribuito a far nascere. A quei politici che pagavano le preferenze a peso d’oro, aveva chiesto di fare il proprio dovere, per consentire ad un’intera comunità di crescere ed educare i propri figli. Il regalo che aveva voluto farmi negli ultimi tempi, portandosi in tasca la tessera del Pd, sarà uno degli stimoli più grandi negli inevitabili momenti di sconforto politico. In queste ultime ore ho letto tantissimi messaggi che lo ricordano come uomo serio, onesto, un gran lavoratore. Lascia un ricordo indelebile in ognuna delle persone che lo hanno conosciuto e un dolore immenso per la sua straordinaria famiglia. Se ne è andato in avanscoperta come succede ai capitani, ma il suo ricordo rimarrà vivido qui con noi.