Molto rumore per nulla si potrebbe concludere. In molti ci siamo chiesti come fosse “Videocracy”, il documentario sulla televisione italiana del regista italo-svedese Erik Gandini, il cui trailer promozionale è stato rifiutato da Rai e Mediaset, provocando una ridda di polemiche, oltre che di pubblicità gratuita per il film. La pellicola, distribuita in poche sale cinematografiche, è divenuta rapidamente un film da non perdere proprio a causa della censura operata dalle televisioni del Presidente del Consiglio. Per prima cosa bisogna riconoscere che tutto il dibattito è vittima di due equivoci: primo “Videocracy” non è un documentario che parla di politica, ma al massimo di un fenomeno sociale e di costume, quello della televisione all’italiana. Secondo: si tratta di un prodotto realizzato per una proiezione all’estero, non in Italia. Infatti la visione del film da parte di un pubblico italiano appare quanto meno bizzarra. In effetti possiamo dividere in due grandi gruppi la popolazione italiana, nel loro rapporto con la televisione odierna. Da una parte ci sono i ceti più o meno popolari, da nord a sud, che vedono nella possibilità di apparire in televisione una risposta ai propri sogni infranti di mobilità sociale. Per questa fascia di popolazione l’adorazione per i VIP della televisione, porta ad esaltare ed a dirittura a scimmiottare i modelli di comportamento dello zoo televisivo. A queste persone non verrebbe sicuramente mai in mente di andare a vedere Videocracy e se anche lo facessero, spinti dalla pubblicità, non troverebbero nulla di cui scandalizzarsi in un fenomeno di cui fanno parte e che in fondo parla anche di loro.
Coloro che invece hanno mantenuto un proprio senso critico, sviluppando negli anni un certo distacco dal circo televisivo, popolato dai vari Lele Mora e Fabrizio Corona, dai tronisti ai concorrenti del grande fratello, da veline e letterine, ci sono alte probabilità che vadano a cercare uno dei cinema che proietta il documentario. Il problema è che non scoprirete nulla di nuovo. Sul grande schermo passano immagini e parole, “culi”, “tette”, “aspirazioni mancate” e “desideri neanche troppo accennati”, ma mancano informazioni, riflessioni, un filo conduttore o un’ipotesi del fenomeno che legherebbe l’utilizzo dell’informazione con il potere politico emanato dal Presidente del Consiglio. E così dopo un’ora e mezzo di noia e un certo fastidio per immagini che si sono accuratamente evitate nel quotidiano televisivo e che qui ci vengono riproposte tutte insieme, si arriva alla schermata finale dove veniamo finalmente informati che l’Italia si piazza al 73° posto nella classifica internazionale della libertà di stampa.
E non possono certo bastare per salvare la pellicola, le candide ammissioni di come funzioni il retroscena del mondo televisivo di Lele Mora, ripreso a casa proprio sul suo lettone bianco, di Fabrizio Corona, mentre fa una doccia integrale in preparazione della sua intervista, o di Fabio, regista del Grande Fratello che ammette come ogni tanto dai “piani alti” arrivi l’ordine di interrompere le trasmissioni in anticipo perché Berlusconi compare su qualche altro canale.
Queste ed altre parti del documentario lasciano lo spettatore con un dubbio atroce: perché mai Mediaset avrebbe negato la trasmissione del trailer, giudicando il documentario lesivo per la propria immagine, permettendo al contempo al regista di filmare così tante scene dietro le quinte, firmando dunque le relative liberatorie? E gli amici del Cavaliere, una sfilza di personaggi da circo, quanti soldi avranno chiesto per fornire interviste prive di qualsiasi contenuto? Devo ammettere di aver avuto un brivido nel pensare che i soldi spesi per il biglietto siano potuti andare, anche in minima parte, per i cachet di questi personaggi.
In definitiva la visione di questo film sembra completamente inutile. A meno che non serva per farci capire di essere vittime dell’ennesima trovata del Cavaliere. Farci credere che esistono ancora spazi di libertà dove poterlo contestare con qualche pellicola che però in comune con la sua televisione sembra proprio avere la scomparsa dei fatti. L’assoluto vuoto di contenuti. Come dice il film stesso: “un flusso ininterrotto di immagini che rappresentano i sogni del Cavaliere”. Appunto i suoi sogni, non quelli degli italiani che continuano a pensare e ad informarsi per cercare di uscire da questa lunga notte della Repubblica.