da Repubblica di Corrado Zunino
Non se l’è filata nessuno, eppure è stata (ed è) la questione scolastica più importante della stagione. È l’accorpamento delle scuole italiane – elementari, medie e superiori – voluto da Tremonti per risparmiare 63 milioni di euro, accolto per mantenere il risparmio dal governo Monti. Le scuole sotto i seicento alunni possono essere accorpate: era la nuova indicazione. Poi, con contratti differenti su base regionale, si sono trovati piccoli aggiustamenti. In media, comunque, ogni istituto italiano dal prossimo settembre dovrà dare ospitalità a mille studenti. Stessi presidi, stesse segreterie, stessi collaboratori scolastici per diverse scuole. Da ottobre a oggi l’accorpamento è diventato prima “il dimensionamento”, poi “il ridimensionamento”. E ha sconvolto le scuole italiane, alcune le ha soppresse tout court. Ha cambiato migliaia di classi, la vita di molti insegnanti, le abitudini dei genitori, la didattica passata ai loro figli. C’è stato un livello di dibattito affidato nelle singole città alle Circoscrizioni, quindi ai Comuni e alle Province lasciando l’ultima parola alle Regioni. E tutto questo è avvenuto nel silenzio dei media.
Il caos calmo degli accorpamenti-dimensionamenti si è visto, praticamente in controluce, solo sui giornali locali che hanno avvistato problema per problema. Singolarmente. Ma la questione riguarda tutti.
Ultime notizie: a Roma contro il dimensionamento scolastico (sancito in via definitiva il 3 febbraio scorso) c’è stato un ricorsone al Tribunale amministrativo da parte di tremila genitori assistiti da un pool di avvocati. L’accusa, salita soprattutto dal IV municipio cittadino e sostenuta dalla Cgil scuola, nello specifico era: il governatore Renata Polverini era passata sopra ogni suggerimento degli enti amministrativi (appunto Circoscrizioni, Comuni, Provincia) “peggiorando pesantemente il piano di razionalizzazione della rete scolastica del Lazio”.
La Regione aveva promesso di recepire le indicazioni, addirittura le delibere, dei consigli d’istituto. Neppure ha ascoltato i presidi. Di fatto, ha fatto proprie le pressioni dei dirigenti scolastici amici tornando indietro solo di fronte a proteste organizzate (vedi la scuola Regina Margherita, nel quartiere centrale di Trastevere, occupata dai genitori).
Inutile il tentativo di chiedere una moratoria di un anno per riuscire a definire meglio i bacini d’utenza e dare respiro a una manovra che coinvolge quasi otto milioni di ragazzi. La Regione Lazio ha tagliato 109 “autonomie”: vuol dire accorpato (offrendo un unico preside e un’unica segreteria) 109 scuole. Diversi istituti in periferia sono saliti a 1600 ragazzi, uno a 1700: una bolgia.
All’interno dello stesso municipio sono state salvate scuole con 624 alunni e stipate altre con 1525. Il piano non ha tenuto conto dei flussi dalle elementari alle medie, dei percorsi degli autobus, dell’offerta formativa: accorpamento, tanto al chilo. Sommatorie di edifici e di gradi scolastici. Altrove, alcuni edifici, vicini sulla cartina, sono in realtà separati da ferrovie, sbarre automatiche.
La mappa italiana dei ridimensionamenti si è fatta, fra mille proteste. Conta darne conto, a volo d’uccello, per far capire il livello della questione, la sua importanza. Spiegando, inizialmente, che c’è chi è riuscito a governare in maniera ragionata la questione: il comune di Bologna e quello di Reggio Emilia, per dire, e la provincia di Cagliari hanno ottenuto di rimandare di un anno l’attuazione del piano. E la regione Piemonte addirittra di realizzarlo in tre stagioni.
Il governatore dell’Emila Romagna, Vasco Errani, aveva chiesto già chiesto alla Gelmini di chiudere la partita entro il 2015 per conto di tutte le regioni. Non avendo ottenuto le risposte cercate, sette Regioni (Toscana, Emilia Romagna, Puglia, Liguria, Marche, Sicilia e Basilicata) sono andati alla Corte costituzionale a chiedere l’immediata sospesione dei piani richiesti.
Partiamo dal Sud. Ecco, a Salerno sono stati accorpati i licei artistici “Menna” e “Sabatini”. Il Comune ha dismesso tre scuole materne e le ha restituite allo Stato. Così. Scuole medie hanno inglobato asili, senza passaggi intermedi (in questi istituti non sono previste elementari). In provincia sono sparite diverse scuole, licei scientifici sono stati fusi (ovviamente a livello di istituto, non di classe) con istituti professionali per l’agricoltura, linguistici con istituti industriali e artigianali (Ipsia) e di ospitalità alberghiera (Ipseoa). L’alberghiero Pittoni è stato smembrato, contro la volontà generale.
Barricate genitori-figli al Costa di Lecce, centro di eccellenza, il più premiato d’Italia: “Accorpare il Costa a un’altra scuola è come accorpare la Ferrari, che vince gran premi, alla Fiat, che produce un numero maggiore di automobili”. I sindacati dell’Usb denunciano la soppressione di 112 scuole (su 360) in Calabria.
La vittima più illustre nella provincia di Ragusa è invece il liceo classico e artistico Campailla, di Modica. In provincia di Cagliari, abbiamo visto, si è rimandato tutto al 2013-2014, ma nelle zone interne i pochi studenti iscritti potrebbero significare la chiusura di diverse scuole: due istituti comprensivi nella zona del Gerrei, per esempio. I genitori scrivono al ministro Francesco Profumo: “Questa legge cancellerà l’identità storica, culturale e progettuale legata al piano formativo degli istituti e dei circoli didattici, e spesso non consentirà neppure risparmi”. Studenti perderanno insegnanti e il numero di classi in uscita dalle elementari varierà, di molto, rispetto all’ingresso alle medie. Ma il ministro, meglio, il governo cui partecipa, non ha intenzione di tornare indietro. C’è un miliardo da risparmiare nel comparto scuola-ricerca e il “dimensionamento” è un pezzo del puzzle.
Le proteste di Chieti, gli agguerriti genitori della elementare Corradi, gli insegnanti della media Vicentini, rimbalzati tutti da un circolo all’altro a ogni cambio di bozza, hanno scatenato la suscettibilità del sindaco, che ha minacciato querele seriali. Le unioni di plessi nei comuni montani di Teramo fanno intravedere manovre da speculazione edilizia, e così gli accorpamenti nel centro storico (si abbandonano palazzi pubblici di cui non si conosce il destino).
In Toscana i tre nuovi istituti comprensivi per scuole materne, elementari e medie hanno spaccato il Consiglio comunale di Lucca regalando nuovi assi politici. Guai a Quarrata e Vignole, dove i comuni dovranno organizzare a proprie spese servizi di navetta per gli spostamenti degli alunni. A Cecina, il trasferimento dei bambini della materna di Nibbiaia alla elementare di Gabbro ha fatto saltare la palestra interna: lì sarà allestita la mensa, e tutte le attività di scienze motorie e sportive riempiranno le aule fin qui dedicate alla lettura, ai laboratori teatrali, all’informatica. Niente più corsi da recuperare né lezioni individuali. A Castelfiorentino, vicino Empoli, si è immaginato un unico istituto da 1800 studenti. Un alveare.
A Milano si prospetta un preside (quindici salteranno in quel territorio) a dirigere ‘mostri’ da 1773 alunni. E, ancora, mega-scuole pronte a inglobare un’ottantina fra materne, elementari e medie della città. Tra la città e il suo hinterland il provvedimento toccherà 77 autonomie scolastiche. Scuole di paese accorpate nella provincia di Padova.