In queste settimane sto contribuendo alla raccolta delle firme per il referendum sulla prostituzione per l’abrogazione parziale della legge Merlin. Il sostegno a questo questo referendum serve principalmente per avviare in Italia un dibattito serio sul tema della prostituzione dilagante nelle strade delle nostre città. L’istituto del referendum in Italia è purtroppo solo abrogativo, quindi per costringere il Parlamento a legiferare di nuovo su una materia, molto spesso è necessario demolire parti della legge che si vuole modificare. Per questo il referendum per l’abrogazione parziale della legge Merlin è più uno strumento che un fine, per poter arrivare ad una nuova legge sulla prostituzione, che possa rendere le attività collaterali alla prostituzione illegali, come avviene ad esempio in Inghilterra.
Prima di parlare di quello che avviene in Europa, è opportuno ricordare cosa sia stata la prostituzione in Italia prima dell’approvazione della Legge Merlin, avvenuta nel 1958 dopo nove anni di discussione Parlamentare (che vi invito a leggere qui), grazie alla tenacia della senatrice socialista Lina Merlin. In Italia la prostituzione è stata regolamentata nel Regno delle Due Sicilie già nel 1432, grazie al rilascio di una reale patente per l’apertura di un lupanare pubblico. Nella Serenissima Repubblica di Venezia esistevano numerose case di prostituzione, così come Case di tolleranza erano presenti anche nello Stato pontificio. Con l’Unità d’Italia una legge del 1860 estendeva questa pratica a tutto il paese ed era lo Stato italiano a farsi carico di fissare anche i prezzi degli incontri a seconda della categoria dei bordelli, adeguandoli al tasso di inflazione. Con l’avvento del regime fascista furono imposte misure restrittive nei confronti delle prostitute, obbligate ad essere schedate dalle autorità di pubblica sicurezza e sottoposte ad esami medici obbligatori, ma la prostituzione non venne mai resa illegale.
Lo spirito della legge proposta all’epoca da Lina Merlin è sempre stato la lotta al favoregggiamento della prostituzione, inteso come sfruttamento delle donne all’interno dei bordelli, dove spesso queste erano costrette ad esercitare in condizioni degradanti e pericolose. Per questa ragione nel 1958 probabilmente sarei stato fra i favorevoli a quella legge, che andava incontro alla “Convenzione per la repressione della tratta degli esseri umani e dello sfruttamento della prostituzione”, adottata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite con risoluzione 317 del 2 dicembre 1949, alla quale non aderirono paesi come la Germania, i Paesi Bassi e gli Stati Uniti. Tuttavia non è possibile non rendersi conto come oggi la legge Merlin abbia perso di efficacia ed i suoi vuoti normativi abbiano trasferito per le strade, le condizioni di sfruttamento e tratta delle donne, che la stessa senatrice si proponeva di combattere. Per le strade delle nostre città ci sono giovani, molte delle quali minorenni e provenienti da ogni parte del mondo, che si trovano alla mercè della criminalità organizzata multinazionale. Le forze dell’ordine sono impotenti e non hanno gli strumenti normativi per poter intervenire efficaciamente. La prostituzione è divenuto un fenomeno globale incontrollabile, così come il proliferare delle malattie sessualmente trasmissibili, fra le quali dal 1981 l’HIV/AIDS è divenuta la più devastante per numero di contagi e decessi.
Questo oggettivo stato di cose non può lasciarci inermi e non può nemmeno indurci a riproporre un dibattito ideologico sul tema della prostituzione. C’è la necessità di affrontare la questione con un dibattito serio e laico, che produca leggi efficaci e semplici da far rispettare. In Europa si sono scelte strade diverse per affrontare il fenomeno. Nei Paesi Bassi, in Germania ed in Svizzera ad esempio la prostituzione è legale. Nel Regno Unito la prostituzione non è formalmente illegale, ma diverse attività di contorno lo sono. Ad esempio è vietato per una prostituta attirare clienti in strada o in un luogo pubblico, ma lo è anche per un potenziale cliente richiedere prestazioni, anche se da un veicolo motorizzato. Di fatto quindi la prostituzione in strada è vietata. Sempre in Inghilterra è anche vietato possedere o dirigere una bordello, così come lo sfruttamento e il controllo della prostituzione. In sostanza nei paesi occidentali si è scelto per un modello di legalizzazione totale, dove la prostituzione viene paragonata a qualsiasi altra forma di lavoro e quindi persino tassata dallo Stato, oppure per un modello di divieto delle attività collaterali alla prostituzione, che di fatto non la vietano, ma ne rendono impossibile il praticarla in luoghi pubblici, mettendo al contempo a disposizione delle forze dell’ordine strumenti veri per contrastare il fenomeno e coloro che lo sfruttano.
Soltanto in Italia non si discute della questione e si preferisce far finta di nulla, anche quando la prostituzione e soprattutto la criminalità organizzata che lucra sullo sfruttamento delle donne, rende insicure le nostre città e schiave donne provenienti da ogni parte del mondo. Il silenzio della politica nazionale può essere banalmente spiegato dalle cronache giudiziarie degli ultimi anni, tuttavia l’assenza di dibattito pubblico nella nostra società accenda la spia di un malessere più profondo. Una resistenza ideologica che ci impedisce di ammodernare le nostre leggi in materia e che ha portato amministratori di tutto il Paese alla disperazione, perchè incapaci di dare risposte alle giuste lamentele dei propri cittadini. Per queste ragioni, a mio avviso, questo referendum rappresenta il primo passo per continuare a sollevare un dibattito nel Paese, perchè non si continui con la politica dello struzzo, ma si affronti seriamente la questione con una legge in Parlamento.