La politica italiana vuole revocare lo status di rifugiato politico a Battisti perché a Berlusconi nessun Paese lo ha mai offerto

Ho sempre paura quando in questo Paese sono tutti concordi. L’unanimità, spesso frutto dell’ignoranza di chi non si prende la briga di un approfondimento, ha generato mostri. Senza scomodare i tanti esempi del presente, basti ricordare il periodo dove in piazza tutti erano unanimi nel salutare il Duce del fascismo che in fondo basava il proprio potere politico sull’omologazione della società italiana in termini di pensiero, costumi, usanze e rituali. Per questa ragione la vicenda di Cesare Battisti e della sua estradizione mi inquieta. Sono ben consapevole di come l’esito della latitanza dell’ex terrorista e scrittore italiano non sia proprio in cima ai pensieri e alle preoccupazioni degli italiani, nonostante l’agenda setting, la teoria delle comunicazione che ipotizza la possibile influenza dei mass media sul pubblico in base alla scelta delle notizie a cui dare ampio spazio, l’abbia catapultata in cima ai notiziari e sulle prime pagine dei giornali. Ma la scarsa presenza di ieri in piazza Navona (quasi tutti eletti e dirigenti di partito), conferma quanto all’opinione pubblica non interessi, in questo grave momento di crisi economica e di incertezza sul futuro, del destino del latitante Battisti o dei rapporti bilaterali fra Italia e Brasile.

Eppure nonostante questo ieri nella piazza che domani ospiterà la Befana, un centinaio di persone hanno voluto ribadire il proprio diniego alla decisione del Presidente Lula di non estradare Battisti in Italia. Tutti esponenti politici nazionali e dirigenti politici del Popolo della Libertà, del Movimento per l’Italia di Daniela Santanchè, di cui Alberto Torregiani è dirigente e dell’UDC. Poi anche Partito Democratico ed Italia dei Valori, a seguire la Destra di Francesco Storace. Diversi gli striscioni esposti dai manifestanti che hanno chiesto a gran voce “giustizia e non vendetta”, definendo Lula e Battisti “vigliacchi”. Come è riuscito Cesare Battisti a mettere d’accordo tutte le forze politiche sempre in guerra persino sulla memoria dei mafiosi come Mangano? Perché nel gennaio del 2009 persino il giornalista Roberto Saviano, autore di Gomorra, ha dovuto ritirare la propria firma da un appello di solidarietà per Battisti che aveva raccolto oltre 1.500 firmatari nel panorama politico culturale di Francia-Italia, annoverando personalità quali il filosofo Bernard-Henry Levy, gli scrittori Daniel Pennac, Gabriel Garcia Marquez, Fred Vargas e Serge Quadruppani?

Per la legge italiana Battisti è inequivocabilmente colpevole. Lo è anche per la classe politica. Ha avuto un’adolescenza nell’illegalità che lo ha portato dal bullismo di strada alle rapine. Nel carcere di Udine incontra Arrigo Cavallina, ideologo dell’organizzazione extraparlamentare armata dei proletari armati per il Comunismo che lo recluta nell’organizzazione. Nella “militanza” milanese Battisti partecipa agli “espropri proletari”, la sottrazione di merci dagli esercizi commerciali per motivi politici, ma come è ovvio giuridicamente gli espropri vengono annoverati come reati comuni di furto e rapina. Poi i PAC passano agli omicidi di commercianti ed appartenenti alle forze dell’ordine. Tra il ‘78 e il ’79 vengono uccisi a Udine Antonio Santoro, maresciallo della Polizia Penitenziaria, a Santa Maria di Sala Lino Sabbadin, maresciallo di Mestre, a Milano Pierluigi Torregiani, gioielliere il cui figlio Alberto rimane paralizzato ed infine Andrea Campagna, agente della Digos. Di tutti Cesare Battisti viene condannato come responsabile, tre come concorrente nell’esecuzione ed uno come co-ideatore. Proprio quello che coinvolge Pierluigi Torregiani ed il figlio è l’omicidio che Battisti non può aver compiuto materialmente, poiché secondo i magistrati il 16 febbraio del 1979 (stessa data dell’omicidio Torregiani) Cesare Battisti faceva da “copertura armata” all’esecutore materiale Diego Giacomin nel delitto del macellaio Lino Sabbadin, che si era opposto con le armi al tentativo di rapina del suo esercizio commerciale.

Dopo l’arresto nel 1979, in seguito alla ricostruzione di alcuni pentiti, viene rinchiuso nel carcere di Frosinone, da dove evade il 4 ottobre dell’81 per rifugiarsi in Francia dove vive per diversi anni protetto dalla dottrina Mitterand, relativa alla non estradizione in Italia di ricercati politici e terroristi italiani di estrema sinistra che si erano rifugiati in Francia. Arrestato in Francia nel 1991 la Chambre d’accusation di Parigi lo dichiara non estradabile poichè la giurisprudenza francese ribadisce la “non conformità della legislazione italiana agli standard europei”.

Nel 2001 Silvio Berlusconi vince le elezioni grazie all’apporto decisivo della Lega Nord e il Ministro della Giustizia Roberto Castelli avvia tutte le procedure per riportare Battisti in Italia. Nel 2002 viene siglato fra Italia e Francia il patto Castelli-Perben che regola l’estradizione dei rifugiati politici soltanto per i reati gravissimi commessi prima del 1982. Grazie a questa mossa e ad una nuova richiesta di estradizione, Battisti viene arrestato a Parigi il 10 febbraio del 2004. Alla guida del governo francese non c’è più Mitterand, ma il più gollista Jacques Chirac che palesa il suo consenso alla estradizione in Italia. Il consiglio di Stato francese e la Corte di Cassazione, con due successive decisioni, autorizzano la consegna di Battisti alle autorità italiana, ma il provvedimento non può essere eseguito perché il condannato ha già fatto perdere le proprie tracce. Ricompare il 18 marzo del 2007 a Copacabana in Brasile, dove viene arrestato in seguito ad indagini congiunte di agenti francesi e carabinieri italiani del Raggruppamento Operativo Speciale.

Il 13 gennaio del 2009 arriva un altro colpo di scena. Il Brasile accorda a Cesare Battisti lo status di rifugiato politico. Le motivazioni con cui il Ministro della giustizia verde oro Tarso Genro motiva il provvedimento sono “il fondato timore di persecuzioni del Battisti per le sue idee politiche, nonché i forti dubbi espressi sulla regolarità del procedimento giudiziario nei suoi confronti”. Si riferisce, in particolare, all’utilizzo del pentito Pietro Mutti dei PAC che incolpando gli altri “militanti” ha ricevuto i benefici ed ha scaricato molte delle proprie responsabilità, incolpando Battisti anche dei delitti di cui nel 2009 l’ex terrorista si dichiarò innocente. La decisione del governo brasiliano di tenere Battisti in carcere, ma di non concedere l’estradizione, ha suscitato aspre reazioni sia da parte del governo italiano che dall’opposizione di centro-sinistra, sfociate in una mozione bipartisan per chiedere al Presidente del Brasile di revocare lo status di rifugiato politico all’ex terrorista. Anche il Parlamento Europeo su sollecitazione dell’europarlamentare del Popolo della Libertà Roberta Angelilli ha approvato una risoluzione che chiede al governo brasiliano di tenere conto delle sentenze italiane.

Il 31 dicembre del 2010, invece, il Presidente Lula ha annunciato il proprio rifiuto all’estradizione in Italia di Battisti dopo che il 18 novembre del 2009 il Supremo Tribunal Federal del Brasile aveva considerato illegittimo lo status di rifugiato politico concesso dal governo all’ex terrorista dei PAC con 5 voti favorevoli e 4 contrari all’estradizione, seppur lasciando l’ultima e decisiva parola al Presidente della Repubblica del Brasile.

Arrivati ai giorni nostri, appare fin troppo chiaro quanto la classe politica del nostro Paese voglia l’estradizione di Cesare Battista per fargli scontare la condanna inflitta in Italia. A me, però, appare anche abbastanza lapalissiano come si voglia trasformare l’esecuzione di sentenze della magistratura in uno obiettivo politico. Questo obiettivo politico, nemmeno troppo celato per la verità, strumentale alla visione Berlusconiana dell’anticomunismo, stona in bocca e nelle coscienze di chi negli ultimi venti anni ha utilizzato il Parlamento Italiano per progettare e far approvare leggi ad personam che non consentono alla magistratura italiana di poter processare il Presidente del Consiglio e i suoi sodali. Un Presidente del Consiglio che a suo dire, sarebbe sotto processo dalla metà delle procure del Paese, a causa delle proprie idee e del proprio impegno politico.

L’Italia riesce ad essere sempre un paradosso. La politica italiana vuole revocare lo status di rifugiato politico a Battisti, forse, perché a Berlusconi nessun Paese lo ha mai offerto e lui, alla fine, l’immunità per se stesso se l’è dovuta sudare vincendo le elezioni, perdendole di misura con leggi elettorali studiate per rendere ingovernabile il Paese, mantenendo in piedi e facendo cadere governi grazie all’acquisto mirato di deputati e senatori. Ecco non riesco a non vedere, consentitemi, un parallelismo fra i casi di Cesare Battista e Silvio Berlusconi. Qualcuno sobbalzerà dalla sedia a questa mia affermazione, ricordandomi che ci sono gli omicidi e le vittime nel mezzo a distinguerli. Anche su questo, però, avrei da obbiettare. Con spirito critico ed onestà intellettuale bisognerebbe capire e calcolare quante vittime fanno i reati di corruzione, concussione, falso in bilancio, etc… Quante vite di persone vengono sconvolte dalla corruzione pubblica. Quante non hanno futuro a causa del declino morale del Paese. E sarebbe oltremodo doveroso fare chiarezza sulle stragi di Stato e di mafia degli ultimi anni rimaste tutte impunite. Per quale ragione le forze politiche vanno unite in piazza per chiedere l’estradizione di Battisti e si dividono sulla lettura delle stragi di Stato, di mafia e sul terrorismo? Per quale ragione questa unità fittizia si dissolve quando i familiari delle vittime rivendicano l’immediata apertura degli archivi di Stato sulle stragi di Piazza Fontana, della stazione di Bologna, di Ustica e sugli omicidi di Falcone e Borsellino? Ecco su questi comportamenti incomprensibile in apparenza nutro dubbi e forti preoccupazioni. 

Sui comportamenti gravi del singolo si chiede giustizia e tutti sono pronti a scagliare pietre e giudizi. Sulle mancanze, le complicità, le correlatività e le gravi responsabilità di tutto il sistema, invece, si tace ed anzi si innalza un muro di silenzio. Oggi sarebbe stato facile unirsi al coro unanime di critiche politiche benpensanti sulla vicenda Battisti, ma non riesco più a tacitare i dubbi e le perplessità che mi derivano dal ragionamento critico e dall’approfondimento sistematico. Ed è proprio con un dubbio che voglio chiudere questa mia riflessione che non vuole in alcun modo alleggerire le responsabilità di Battisti, il dolore e il ricordo delle vittime e il lavoro della magistratura, ma che ha invece l’obiettivo di suscitarOe la domanda più importante quando si analizza il presente. A chi giova tutto questo?

La scrittrice francese Fred Vargas ha dedicato un libro al caso Battisti. Pubblicato nel 2004 dalle edizioni Viviane Hamy, il libro “La verité sur Cesare Battisti”, a cura di Fred Vargas (270 pp., € 7,00), non ha trovato curiosamente il modo di essere tradotto e pubblicato in Italia. E ciò nonostante che i libri della Vargas – pseudonimo di Frédérique Audouin Rouzeau – siano piuttosto noti e  venduti in particolare da Einaudi. Il libro della Vargas, sostenitrice di Battisti ed amica personale, analizza i processi in Italia nell’epoca dell’emergenza e riporta tutte le denunce di Amnesty International al riguardo. L’opera è una raccolta di testi e documenti, attraverso la nuda esposizione dei fatti (chi vuol sentire la Vargas descrivere le ragioni del suo libro ha a disposizione sulla rete una sua intervista alla tv francese).

Il dubbio è questo. Siamo certi di avere tutti gli elementi per dare un giudizio? Bastano le opinioni dei politici del nostro Paese, anche se unanimi, per rendere vera e credibile una posizione? E’ possibile che la solidarietà alla vicenda Battisti che ha mobilitato tanti uomini e donne di cultura, intelligenti ed onesti, che nulla hanno avuto a che fare con il terrorismo ed il comunismo, non abbia alcun fondamento? Il punto, però, non è se ha ragione chi ritiene Battisti un assassino o chi un perseguitato politico. Il punto è che il sistema italiano non ci consente di farci una nostra opinione. Basterebbe poco, magari far sentire al telegiornale dopo la notizia della manifestazione di Piazza Navona, anche le ragioni della difesa. Per far evolvere il nostro Paese eternamente diviso in tifoserie quando giocano contro Roma e Lazio, ma sempre pronto a cantare insieme Forza Italia quando in campo ci sono gli azzurri….

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