Durante il mio viaggio in Messico sulle orme degli antichi imperi Maya ed Atzeco, ho cercato di approfittare del mio soggiorno in Chapas per incontrare il sub comandante Marcos, il leader della rivoluzione zapatista che infiamma i cuori dei messicani e degli indios maya dal 1994. Marcos é il più influente fra i leader zapatisti, anche se esistono molte figure rappresentative e conosciute soprattutto fra le rivoluzionarie donne, che rappresentano il 50 per cento delle Caracol, le assemblee popolari. Incontrare il sub comandante nelle montagne del Chapas non é certo impresa facile. Marcos vive da latitante, indossa da sempre un passamontagna, porta generalmente un fazzoletto rosso legato al collo ed una pipa in bocca e certamente é restio a parlare in pubblico. Dal 1996 ad oggi sono state soltanto sei le dichiarazioni ufficiali del movimento, sempre contrastate dal governo ufficiale, insediatosi in Messico proprio in questi giorni dopo il ritorno alla vittoria del Pri, il partito rivoluzionario istituzionale che ha governato il paese per settant’anni.
Chi sia il sub comandante Marcos in realtà non é semplice a dirsi. Secondo il governo dietro l’acronimo di alcuni dei comuni occupati dagli zapatisti nel gennaio 1994: Margaritas, Altamirano, Rancho Nuevo, Comitán, Ocosingo, San Cristobal, ci sarebbe Rafael Sebastián Guillén Vicente, un ex-ricercatore di 55 anni dell’università di Città del Messico. Parlando con i miei contatti a San Cristobal, tuttavia, questa versione viene negata fermamente. Il nome Marcos deriverebbe dall’usanza zapatista di assumere il nome di un compagno morto in combattimento, per significare l’idea del continuo della lotta anche dopo la morte.
Per poter incontrare Marcos bisogna passare attraverso le Caracol del popolo, dei presidi locali in cui uomini e donne eletti dalle comunità separatiste del Chapas, portano avanti politiche sociali ed economiche a favore degli indios. A difendere questi presidi democratici c’è l’esercito zapatista di liberazione, un movimento armato clandestino, di stampo marxista e indigenista. L’EZLN è un movimento formato sostanzialmente da indios discendenti dei Maya e ha l’obiettivo di affermare i diritti delle popolazioni native messicane. Tuttavia la globalizzazione lo ha collegato, grazie all’uso di internet, al movimento mondiale anti-capitalista e no-global per i diritti delle popolazioni native che abitano le terre colonizzate dai conquistadores. Carla, una donna italiana che ha lasciato Torino quindici anni fa per trasferirsi in Chiapas, mi spiega come lo zapatismo si opponga al neoliberismo e al sistema economico cui il Messico ha aderito dal 1982 fino ad oggi. Una lotta che dura da 500 anni e che si identifica con l’internazionale battaglia in favore dei diritti dei popoli indigeni, che fino al 1994 da queste parti non potevano camminare sullo stesso marciapiede dei bianchi o prendere i mezzi pubblici.
A differenza di altri movimenti, l’EZLN ha scelto una via pacifica e democratica per le proprie rivendicazioni, circoscrivendole alle popolazioni Maya del Chiapas, conscio di non poter radicare la propria lotta nel resto del mondo. L’esercito zapatista ha dunque lo scopo di difendere gli indios dai soprusi, ma non usa il terrorismo o l’azione militare per imporsi. Questo gli ha garantito le simpatie della popolazione che lo segue in maniera massiccia e radicata. In un noto caffè di San Cristobal ho modo di parlare con una rappresentante dei Caracol del popolo. É la moglie di uno dei miei contatti in Messico. Mi racconta di come le donne siano alla guida del movimento in maniera paritaria rispetto agli uomini. Di come Città del Messico abbia potuto vedere nel 2001 le intenzioni pacifiche del movimento, protagonista di una lunga marcia di dibattiti politici. Il primo obiettivo politico dell’EZLN è quindi la liberazione del Chiapas dal governo messicano, che viene identificato con il mal gobierno.
Il Chiapas è uno stato estremamente ricco di risorse, biodiversità alimentari, petrolio e uranio. La maggior parte dell’energia elettrica messicana viene generata proprio qui. Ciò nonostante, i popoli indigeni sono i più poveri di tutto il Messico. Secondo lo zapatismo il governo messicano avrebbe svenduto alle multinazionali le risorse naturali del paese, costringendo gli indios in condizioni di vita inaccettabili. Qui a farla da padrona delle risorse alimentari c’è la Nestle. Mentre quindici famiglie messicane accentrano le ricchezze del paese e sono fra le più ricche del pianeta, controllando oltre il 50% del territorio. La liberazione a cui mirano gli zapatisti comprende anche il controllo sull’uso di tali risorse, il che non è ben visto né dal governo né dalle compagnie che le sfruttano, per esempio gli Stati Uniti, con i quali Messico e Canada sono impegnati dal Nafta o tractado del libre comercio, un accordo economico per l’agevolazione delle attività commerciali fra questi paese. Proprio la firma di questo accordo, il 1 gennaio del 1994, é la scintilla che porta il movimento zapatista a dichiarare guerra al governo Messicano. Marcos parla a nome dei lacandonas, un ceppo etnico degli indios Maya, che non vogliono scomparire con la nuova globalizzazione. In passato hanno già difeso le proprie terre dal colonialismo spagnolo. Hanno resistito al Cristianesimo che qui ha costruito le proprie chiese, ma non ha sradicato credi ed usanze indigene, come si può ben vedere a San Juan Chimula, dove gli sciamani ancora ti prendono il polso e guardandoti negli occhi scrutano il profondo dell’anima. Nella chiesa cristiana intere famiglie recitano i propri riti, che si concludono con il sacrificio di una gallina, in un’atmosfera mistica lontana anni luce dalla liturgia cattolica.
Quando provi a chiedere perché c’è bisogno di un esercito rivoluzionario per difendere i diritti degli Indios, gli occhi della mia interlocutrice si bagnano ancora di lacrime. Il racconto della mattanza di Acteal, non é riproponibile nei particolari. In tale occasione l’esercito e i paramilitari del governo attaccarono una comunità non zapatista e non violenta, massacrando 45 persone, tra le quali vi erano 4 donne incinte, che furono sventrate con i machete. L’operazione avrebbe dovuto far ricadere la colpa sugli zapatisti, ma falli miseramente rafforzando ancora di più il movimento, che oggi é radicato nel territorio, più della stessa figura di Marcos che sembra quasi essere diventata del tutto simbolica. Chi guida le Caracol di San Cristobal ammette di non sapere nemmeno se si trovi più in Chapas. E qui capisco che non é importante incontrare il sub comandante Marcos.
Qui in Chapas infatti gli indigeni maya non hanno bisogno di un capo o di un leader come in Occidente. Qui la definizione di sub comandante deriva dalla convinzione che a comandare sia il popolo, disposto a delegare per qualche tempo l’onere della rappresentanza, ma non quello delle decisioni effettive. In questo luogo bellissimo gli indios vivono il momento presente. Non programmano il futuro come facciamo noi. Non progettano a lunga scadenza, ma vivono l’attimo fuggevole. Per loro una promessa ha un valore. Non puoi permetterti di dire una piccola bugia all’occidentale nemmeno ad un bambino che cerca di venderti una borsa in pelle, che ha lavorato con le proprie mani. Se provi a dirgli che tornerai “dopo” per togliertelo di torno, stai certo che lui “dopo” verrà a cercarti per ricordarti quella promessa. Questo é il popolo che ha inventato il calendario più preciso della storia. Quello che ha resistito al colonialismo spagnolo, alla chiesa cattolica e che oggi lotta contro il neo capitalismo.
Quando alla fine mi chiedono se voglio ancora provare ad incontrare Marcos, rispondo che preferisco vedere quello che ha costruito il movimento, grazie all’aiuto di organizzazioni non governative. Scuole, presidi sanitari e servizi per le popolazioni indigene. In queste comunità sulle montagne non puoi non incrociare gli occhi felici e fieri di un bambino che va a scuola con il suo zaino in spalla, contento di vivere ai bordi della sierra messicana. Di fronte a questa illuminazione inaspettata é facile fermarsi a riflettere se in fondo non siano più vicini alla felicità questi bambini che i nostri figli, bombardati ogni giorno da falsi bisogni e mai paghi degli averi materiali. D’un colpo la libertà di cui tanto parliamo in occidente mi sembra questa visione basilare dell’esistenza, questo saper vivere in comunità senza volersi sopraffare l’uno con l’altro. E davvero mi sembra incredibile che per respirare la libertà sia dovuto arrivare fino all’altro capo del mondo, ai confini della sierra messicana.